Il sindaco di Ostuni, testimone contro i clan
«Capone Alfredo - ha raccontato - era venuto a trovarmi per sollecitare la pratica relativa al rinnovo del contratto di locazione di un immobile di proprietà comunale. Nella circostanza io, conoscendo alcune sue frequentazioni, ho approfittato per chiedergli se sapesse qualcosa circa gli episodi che si erano verificati in Ostuni. Lo stesso mi ha riferito che in passato lui ed i suoi amici avevano trovato sempre disponibilità da parte del Comune che, però ad una specifica richiesta di lavoro ad alcuni suoi amici o conoscenti, il comune aveva risposto “picche”. Questo atteggiamento, secondo loro, era stato interpretato come un atteggiamento ostile da parte del Comune. Poi, egli fece riferimento anche all’enorme quantità di opere pubbliche eseguite dal Comune, che portavano ad un notevolissimo giro di denaro al quale “loro” aspiravano di poter attingere. Egli faceva riferimento a percentuali, in maniera confusa, lasciando intendere che secondo lui vi erano quote di denaro che venivano destinate a persone sulla base di valutazioni cui gli amministratori erano abilitati. In realtà, io gli spiegai come avveniva l’affidamento dei lavori, invitandolo a partecipare alle sedute pubbliche. Alla mia precisa richiesta, Capone Alfredo mi disse che avevano già provato a chiedere ad alcune imprese esecutrici delle opere pubbliche “aiuti o contributi“, ma che si erano trovati davanti a risposte negative motivate dalla scarsa convenienza del prezzo di aggiudicazione. In sintesi, gli imprenditori interpellati avevano loro riferito che nulla poteva essere “dato” a causa dei già ridotti margini di guadagno. Di fronte anche alla mia indisponibilità a cedere, Capone disse esplicitamente: “allora, che cosa dobbiamo fare? Ci dobbiamo rivolgere direttamente e Giovanni Epifani per chiedergli duecentomila euro?”.
Non a caso fece riferimento a Epifani, in quanto trattasi di uno dei più facoltosi imprenditori locali. A quel punto, Capone mi invitò a parlare con alcuni suoi amici ma io, in maniera secca, dissi che non intendevo seguirlo in quel ragionamento, in quanto mi ponevo dalla parte opposta rispetto alla loro linea. Mentre Capone lasciava la mia stanza, incrociò Epifani, che veniva da me. In effetti, dissi a Giovanni Epifani il contenuto del citato colloquio e della sua richiesta finalizzata ad ottenere il rinnovo del contratto della casa».
L’apice della strategia intimidatoria viene raggiunto tra l’11 e il 13 gennaio 2009 con l’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco al bar H/Ventiquattro cafè. «Anche alla luce di tale episodio - secondo gli inqiuirenti - nessun dubbio può sussistere che la richiesta rivolta ad Epifani Matteo nonché i comportamenti successivamente tenuti dagli indagati avessero chiara natura minacciosa finalizzata ad ottenere un profitto ingiusto».
Lo stesso sindaco ha vissuto sulla propria pelle la forza intimidatoria del gruppo allorquando veniva avvisato in data 16 febbraio 2009 (la stessa data in cui era stata collocata una bomba a mano sull’autovettura di Luca Marzio) che erano stati rinvenuti sul parabrezza della autovettura del figlio cinque cartucce annunciate da una telefonata anonima che le indicava come “regalo per il Sindaco”.
«Quest’ultimo - secondo il pm Milto De Nozza - ha assunto un ruolo di primo piano nella presente indagine in quanto non solo ha permesso di ricostruire compiutamente la vicenda relativa alla estorsione di Epifani ma ha altresì consentito di acquisire ulteriori elementi di fatto comprovanti la esistenza di una organizzazione criminale di stampo mafioso operante nel comune da lui rappresentato». Ci si riferisce alle dichiarazioni rese il 25 febbraio 2009, allorquando si presentava presso il Commissariato di Ostuni per raccontare quanto gli aveva riferito il suo autista in occasione di un viaggio a Roma. Nell’oc - casione il Sindaco riferiva del dialogo che si era svolto tra il suo autista Ivo Libardo (ex appartenente alla Polizia Penitenziaria, dal quale aveva appreso di esso) e Alfredo Capone, il quale ben consapevole di parlare con l’autista del sindaco, gli aveva detto che gli episodi che si stavano verificando a Ostuni rappresentavano la “l o ro ” risposta all’Amministrazione comunale, “rea ” di aver leso le aspettative di alcuni ostunesi, che solo lui era nelle condizioni di interrompere quella sequela di atti criminosi e che per fare ciò il sindaco doveva versare la somma di 500 euro. Addirittura Capone si offriva di uccidere Roberto Marzio perché a suo dire indicato dal Sindaco quale responsabile di tutto quanto si stava verificando in Ostuni. Alla decisa manifestazione di volontà del sindaco di denunciare Capone seguiva un forte stato di terrore del Librado che altro non era se non la prova del grado di intimidazione che il predetto è in grado di esercitare intorno a sé».
Dopo, il 5 marzo 2009, il Sindaco si presentava nuovamente presso il Commissariato di Ostuni per denunciare un nuovo episodio che aveva visto protagonista Matteo Tanzarella, assessore alla polizia urbana di Ostuni, che glielo aveva raccontato. Si era verificato che Capone si era recato presso lo studio professionale e con fare minaccioso gli aveva detto espressamente: “le cose non stanno bene, stiamo rischiando 15 anni di galera tutti” ed aveva spiegato il senso di quelle parole indicando nel sindaco il vero responsabile di tutto quanto si stava verificando a Ostuni in quanto colpevole di non aver “loro” versato la somma di 200.000 euro quale tangente sui lavori pubblici commissionati dall’amministrazione comunale. Infatti, aveva proseguito Capone, gli attentati intimidatori erano stati la “loro” risposta alla inerzia del sindaco alle “loro” richieste, aggiungendo che comunque non era “loro” intenzione fermarsi e che anzi erano decisi ad orientare l’azione intimidatoria dapprima verso lo stesso Matteo Tanzarella e successivamente contro Giuseppe Zurlo, quale presidente del Consiglio comunale, con il proposito dichiarato di “far mancare il terreno sotto i piedi al sindaco costringendo Tanzarella Matteo a dimettersi entro sabato 7 marzo con la minaccia che se non vi avesse provveduto avrebbe messo a repentaglio l’incolumità propria e della sua famiglia. [v. spar.]