La recensione
La speranza nel Sud di «Bar Giuseppe»: da oggi su Rai Play il film di Giulio Base
Girato in Puglia, Ivano Marescotti è protagonista di una metafora evangelica e anti-razzista
È possibile rinnovare il principio-speranza? Quale è la radice dell’amore? Siamo capaci di riconoscere la salvazione nella grazia di un incontro? Campo Base in Puglia per le domande radicali. Si scherza, ma neanche tanto, considerando che Bar Giuseppe, il nuovo film di Giulio Base dopo il premiatissimo Il banchiere anarchico tratto da Pessoa nel 2017, è una rivisitazione delicata e potente della parabola di san Giuseppe sullo sfondo delle migrazioni e del razzismo nell’Italia dei nostri giorni. Girato in gran parte a Bitonto e nel suggestivo «vuoto» di Loconia nei pressi di Canosa (con scene a Palo del Colle, Terlizzi e Lavello), Bar Giuseppe è stato presentato al Festival di Roma e da oggi 28 maggio sarà visibile gratuitamente sulla piattaforma di RaiPlay nell’ambito di «La Rai con il cinema italiano», un ciclo di otto film ch’erano pronti ad uscire in sala mentre piombavamo nel grande letargo da Covid 19.
Diciamo subito che Base ha realizzato un’opera preziosa anche per l’immagine della Puglia, finalmente estranea all’ebbrezza para-turistica di certe commediole sciué sciué. Qui infatti il nostro Sud è restituito all’orizzonte terragno eppur metafisico che gli è proprio, quell’incrocio di contraddizioni sociali e utopie celestiali già scandagliato sullo schermo da Sergio Rubini, Gianni Amelio, Ermanno Olmi, Daniele Vicari... Una terra dell’innocenza perduta che forse è possibile ritrovare, stando al protagonista Ivano Marescotti, magnifico nel contenere ed elaborare in silenzio i conflitti interiori e le schermaglie familiari. È lui Giuseppe, il titolare di un bar-benzinaio collocato simbolicamente fra la Murgia e l’Ofanto, una frontiera frequentata da esuli extracomunitari e animata da un afflato quasi «balcanico» di danze gitane un po’ alla Kusturica (la colonna sonora è di Pietro Freddi). Ultrasessantenne rimasto vedovo con due figli adulti (il panettiere Nicola Nocella e lo sfaccendato Michele Morone), Giuseppe è pronto ad accogliere come aiutante nella stazione di servizio e poi fra le mura domestiche la giovanissima profuga africana Bikira, che ha il candore dell’attrice esordiente Virginia Diop, romana di padre senegalese.
La ragazza, conquistata dalla bontà di Giuseppe, gli chiederà di prenderla in moglie e le nozze avranno luogo sfidando i pregiudizi dei paesani, nonché l’ostilità dei figli dell’anziano sposo. Il resto sarà bene non rivelarlo, sebbene sui Vangeli vi dovrebbe essere poco da... spoilerare. Il cinquantacinquenne Giulio Base, che per il soggetto di Bar Giuseppe ieri ha ottenuto la candidatura ai Nastri d’Argento, si è ispirato a un testo del cardinale Gianfranco Ravasi sul padre di Gesù ed è un autore, oltretutto forte di una seconda laurea in Teologia, attratto dalla dimensione mistica quanto dalla storia e dalla letteratura (ha appena concluso le riprese di un film sulla Shoah, Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma). Del resto, in Bar Giuseppe s’intravedono fra i rari volumi nella dimora del protagonista il Meridiano di Kerouac e Il regno di Emmanuel Carrère, in cui lo scrittore francese «ripercorre da investigatore i sentieri del Nuovo Testamento».
Prodotto da «One More Pictures» di Manuela Cacciamani con Rai Cinema e con il sostegno di Apulia Film Commission, il film si avvale di contributi di pregio sia nel cast (segnaliamo la palermitana Selene Caramazza nel ruolo della moglie del pugliese Nocella, a sua volta bravissimo) sia nelle collaborazioni artistiche della scenografa Isabella Angelini che valorizza al massimo gli scorci pugliesi o del direttore della fotografia Giuseppe Riccobene, capace di dar corpo a una luce crepuscolare e vivissima nella landa quasi desertica scelta da Base (la kènosis di Cristo è svuotamento, spoliazione).
Il prossimo titolo su RaiPlay è La rivincita di Leo Muscato, prodotto da Cesare Fragnelli e girato a Martina Franca, in programma dal 4 giugno.