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Terremoto, i racconti da Gaziantep: «I miei amici hanno i figli ancora sotto le macerie»
Lucio Leante, giornalista barese, già corrispondente Ansa da Ankara per sette anni, residente in Turchia fino all’anno scorso, offre uno spaccato dal dramma che stanno vivendo le popolazioni dell’Anatolia meridionale fino al confine con la Siria
«I miei primi contatti con Gaziantep mi hanno restituito la ricostruzione di una tragedia di dimensioni notevoli. Una mia amica ha tre figli e un nipote seppelliti sotto le macerie della propria abitazione». Lucio Leante, giornalista barese, già corrispondente Ansa da Ankara per sette anni, residente in Turchia fino all’anno scorso, offre uno spaccato dal dramma che stanno vivendo le popolazioni dell’Anatolia meridionale fino al confine con la Siria.
I terremoti sono un flagello ricorrente in Turchia?
«Sono stato residente fino un anno fa a Marmaris, nella provincia di Mugla. I sisma sono molto frequenti. Proprio nel 1999 ci fu un terremoto con oltre 17mila morti nelle regioni del Nord-Ovest. Il paese è attraversato da alcune faglie sotterranee».
Che notizie ha raccolto dai suoi conoscenti?
«Ho sentito un altro amico di Gaziantep, che fortunosamente era a Istanbul: i suoi congiunti sono stati travolti dal sisma. In quella città hanno contato ben seicento palazzi “polverizzati”. Bisogna anche considerare che le costruzioni in quella zona sono molto fragili, le mura sottili. È un territorio con temperature molto calde, vicino al mare. Poi in ambito edile non ci sono tecniche moderne come in Occidente. In quella regione però non c’erano mai stati terremoti importanti».
La macchina dei soccorsi turca?
«È centrata sul ruolo dell’esercito, una vera potenza nazionale. Si tratta di una struttura che ha industrie proprie e risorse straordinarie, una organizzazione parallela allo Stato. Costituisce il secondo più numeroso esercito della Nato con 350mila effettivi e viene utilizzato anche come “protezione civile”. Gli aiuti occidentali saranno utili per vicinanza o solidarietà e testimonianza, ma la Turchia ha forze interne adeguate per soccorrere tempestivamente i suoi cittadini. Anche Israele collaborerà nei soccorsi».
La solidarietà dell’Ue è tangibile e concreta. Il terremoto può essere un'occasione per una nuova riflessione di Ankara sulle relazioni con l’Europa?
«Bisogna essere ottimisti per avere questa sensazione. Il 14 maggio ci sono le elezioni nazionali e sono le prime nelle quali Erdogan non arriva con l’assoluto favore dei pronostici. Questa sciagura, per paradosso, può diventare un soccorso al presidente, le cui quotazioni sono in ribasso. Farà di tutto perché i soccorsi siano efficaci: anche così potrebbe riconquistare consensi, con la forza delle istituzioni».
Tornando alle relazioni con Bruxelles...
«I rapporti con l’Ue non sono mai stati interrotti. La domanda di adesione all’Unione è pendente, sono gli europei ad avere rilevato una certa deriva delle istituzioni turche che conflgge con questo processo. E così i turchi non hanno insistito. L’ingresso in Europa trasformerebbe la Turchia nello stato più popoloso del continente, con tutto quello che ne consegue».
Erdogan come interpreta le relazioni con l’occidente e la Nato?
«In termini strumentali. Se ne serve. È un politico al cento per cento. A lui interessa espandere l’influenza della Turchia a Cipro come in Libia. In Ucraina gioca la parte di “Kissinger del Medio Oriente”, come mediatore tra Zelensky e Putin».
Quanto è forte il legame tra Italia e Turchia?
«Formalmente sempre buono. I turchi adorano gli italiani. L’unica crisi risale al caso Ocalan: c’era al governo D’Alema e alcuni di Rifondazione comunista fecero venire il leader curdo in Italia, mettendo a rischio le consolidate relazioni tra i due paesi per un’operazione a sostegno di un personaggio ritenuto un terrorista del Pkk dalle autorità di Ankara e anche dall’Unione Europea».