il cold case

Roberta Martucci scomparsa nel 1999 in Salento, la sorella: «Contenta per Tatiana, ma per lei la giustizia è stata più veloce»

mauro ciardo, fabiana pacella

Parole che pesano come pietre: «Non posso ignorare l’amarezza nel vedere che un allontanamento volontario abbia messo in moto ingenti risorse». Un testimone potrebbe riaprire le indagini

«Da sorella di una ragazza scomparsa, non posso che essere felice per il ritorno a casa di Tatiana Tramacere… Detto questo, non posso ignorare l’amarezza nel vedere che un allontanamento volontario abbia messo in moto ingenti risorse…». Pesano e colpiscono come pietre le parole di Lorella Martucci. E inchiodano tutti al muro delle responsabilità, dopo venticinque anni di silenzi, archiviazioni, depistaggi, dubbi e falle. Sul battere e levare tra colpa e dolo, poi, è altro capitolo che merita attenzione e righe a parte. Roberta Martucci scomparve tra Torre San Giovanni e Gallipoli (Lecce) nell’estate 1999 e, da allora, nessuna verità definitiva, né certezza. Un fascicolo riaperto e archiviato nuovamente nel 2022.

Un cold case che continua a bruciare. Come il ghiaccio del silenzio, dei dubbi misti alla certezza che Roberta non è più. Ma se così è, che ne è stato del suo corpo? Nel confronto con vicende più recenti, la rabbia di Lorella ha una radice profonda: la percezione di una giustizia a due velocità, dove l’eco mediatica, il contesto fisico e sociale – ma anche socia -, decide chi merita attenzione immediata e chi, invece, può attendere anche decenni. Fino alla dimenticanza. Che non c’è, non può esserci nei giorni dei familiari che restano. «Il caso di Tatiana ha ottenuto un’attenzione mediatica e istituzionale immediata… Temo che la visibilità social influisca sull’interesse di media, inquirenti e istituzioni, mentre la vita semplice di mia sorella non abbia mai ricevuto lo stesso rispetto».

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