Omicidio Calvi, Vittor a giudizio
ROMA - Il gup di Roma Bruno Azzolini ha rinviato a giudizio Silvano Vittor per la morte del banchiere Roberto Calvi, avvenuta a Londra il 18 giugno 1982. Il giudice ha accolto così la richiesta dei pm Maria Monteleone e Luca Guido Tescaroli, che contestano a Vittor il reato di omicidio volontario premeditato.
L'ex contrabbandiere triestino, dunque, verrà processato per la morte del presidente del vecchio Banco Ambrosiano assieme all'uomo d'affari Flavio Carboni, al boss mafioso Giuseppe Calò, a Ernesto Diotallevi e Manuela Kleinszig, all'epoca amica di Carboni. Il processo si aprirà il 6 ottobre prossimo davanti alla seconda corte d'assise di Roma, presieduta da Mario Lucio D'Andria.
In base alla ricostruzione dei pm, Vittor, «secondo le direttive a lui impartite da Flavio Carboni, assicurava ospitalità nella sua abitazione a Trieste a Roberto Calvi; predisponeva e curava nel dettaglio la fuga della vittima in Austria (e specificatamente organizzava e gestiva l'allontanamento dall'Italia e l'attraversamento clandestino delle frontiere, consentendogli di raggiungere Klagenfurt); in Austria assumeva il ruolo di accompagnatore del banchiere, apparentemente mettendosi a sua disposizione, in realtà, per eseguire il piano criminoso indicato da Carboni; a Londra assicurava il costante controllo di Calvi, durante la sua permanenza al Chelsea Cloister e fino al momento del programmato intervento di altri concorrenti nel delitto incaricati di curare l'esecuzione materiale dell'omicidio».
Gli imputati, secondo la Procura, «in concorso tra loro e con altri non ancora tutti identificati, avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso denominate 'cosa nostrà e 'camorrà», avrebbero deciso la morte di Roberto Calvi, ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, per «punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle organizzazioni criminali e, in particolare, all'associazione mafiosa denominata 'cosa nostrà, recuperati (in tutto o in parte) prima del suo assassinio; per conseguire l'impunità, ottenere e conservare il profitto dei delitti di riciclaggio posti in essere tramite il Banco Ambrosiano e le società collegate allo stesso e di concorso nelle distrazioni delle ingenti somme di denaro effettuate in danno dell'istituto di credito e delle società allo stesso collegate; per impedirgli di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali, della massoneria, della loggia 'P2' e dello Ior, con i quali aveva gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro, anche provenienti da 'cosa nostrà e da enti pubblici nazionali».
«Abbiamo argomentazioni molto concrete a sostegno della difesa, nutriamo aspettative che diventeranno certezze in sede dibattimentale». Così l'avvocato Luigi Greco, difensore di Vittor, si dice ottimista nonostante il rinvio a giudizio del suo assistito. «Tutte le testimonianze portate dai pm - sottolinea - sono inattendibili, non hanno trovato riscontri e non si basano su prove certe».
In base alla ricostruzione dei pm, Vittor, «secondo le direttive a lui impartite da Flavio Carboni, assicurava ospitalità nella sua abitazione a Trieste a Roberto Calvi; predisponeva e curava nel dettaglio la fuga della vittima in Austria (e specificatamente organizzava e gestiva l'allontanamento dall'Italia e l'attraversamento clandestino delle frontiere, consentendogli di raggiungere Klagenfurt); in Austria assumeva il ruolo di accompagnatore del banchiere, apparentemente mettendosi a sua disposizione, in realtà, per eseguire il piano criminoso indicato da Carboni; a Londra assicurava il costante controllo di Calvi, durante la sua permanenza al Chelsea Cloister e fino al momento del programmato intervento di altri concorrenti nel delitto incaricati di curare l'esecuzione materiale dell'omicidio».
Gli imputati, secondo la Procura, «in concorso tra loro e con altri non ancora tutti identificati, avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso denominate 'cosa nostrà e 'camorrà», avrebbero deciso la morte di Roberto Calvi, ritrovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, per «punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle organizzazioni criminali e, in particolare, all'associazione mafiosa denominata 'cosa nostrà, recuperati (in tutto o in parte) prima del suo assassinio; per conseguire l'impunità, ottenere e conservare il profitto dei delitti di riciclaggio posti in essere tramite il Banco Ambrosiano e le società collegate allo stesso e di concorso nelle distrazioni delle ingenti somme di denaro effettuate in danno dell'istituto di credito e delle società allo stesso collegate; per impedirgli di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali, della massoneria, della loggia 'P2' e dello Ior, con i quali aveva gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro, anche provenienti da 'cosa nostrà e da enti pubblici nazionali».
«Abbiamo argomentazioni molto concrete a sostegno della difesa, nutriamo aspettative che diventeranno certezze in sede dibattimentale». Così l'avvocato Luigi Greco, difensore di Vittor, si dice ottimista nonostante il rinvio a giudizio del suo assistito. «Tutte le testimonianze portate dai pm - sottolinea - sono inattendibili, non hanno trovato riscontri e non si basano su prove certe».