L’intervista
Borgomeo: «Il Mezzogiorno come il Napoli, scudetto e conti in ordine»
Il presidente Borgomeo lascia la guida della Fondazione «Con il Sud» dopo 14 anni
Dopo quasi 14 anni, Carlo Borgomeo - napoletano classe 1947, esperto di sviluppo locale e profondo conoscitore delle dinamiche socio-economiche del Mezzogiorno - lascia la presidenza della Fondazione «Con il Sud» che ha guidato dal 2009. Di fatto, prendendone le redini ad appena due anni dall’inizio delle attività. La data cerchiata di rosso è il 16 maggio (gli succederà il designato Stefano Consiglio) ma l’occasione per tracciare un bilancio arriva domani grazie all’incontro «Con il Sud, un futuro già visto» al Parco Verde di Caivano (Napoli). «Ho fatto tanti lavori nella mia vita - racconta Borgomeo - ma nessuno bello come questo. Sia per ciò di cui la Fondazione si occupa, cioè l’infrastrutturazione sociale, sia per il grande fascino che regala lavorare per obiettivi pubblici con la flessibilità e l’efficienza di una struttura privata». I numeri, d’altra parte, parlano chiaro: oltre 1600 progetti approvati, 280 milioni di finanziamenti distribuiti, sette fondazioni di comunità create, più percorsi di formazione per il terzo settore e il lancio di un fondo di investimenti per le imprese sociali. Un lungo e complesso cammino da cui Borgomeo, in libreria con il suo ultimo volume Sud. Il capitale che serve, parte per un ragionamento a tutto campo, dai temi «meridiani» alle vicende calcistiche.
Presidente, come è cambiato il Sud in questi 14 anni?
«È cambiato moltissimo nel senso che si sono moltiplicati episodi, vicende, esperienze, e percorsi significativi legati al mondo della ricerca e delle start up innovative. Da questo punto di vista Campania e Puglia sono molto avanti. E poi c’è un altro elemento che mi sta a cuore: la crescita del terzo settore, un mondo ricco di soggetti di grande qualità e prospettiva, con cui ho avuto il piacere di lavorare gomito a gomito in questi anni».
Tutto questo è senza subbio positivo, ma la «colonna in rosso», cioè quella odiosa dei problemi, cosa segna?
«Ci sono fenomeni molto preoccupanti a cominciare dalla denatalità: prima al Sud si facevano molti figli, ora i numeri sono più bassi della media italiana, già misera. Un’emergenza che salderei ad un’altra: la fuga dei cervelli. Un disastro particolarmente accentuato fra le fasce più alte e più qualificate».
Le risposte che arrivano da Roma la convincono?
«Non voglio polemizzare con nessuno, ma mancano idee capaci di portare in dote un minimo di modernità. La questione meridionale da famosa è diventata noiosa. Sempre le stesse lamentale, sempre le stesse denunce».
Un’accusa alla politica?
«Guardi, nei programmi dei partiti che hanno partecipato all’ultima tornata elettorale non c’era niente sul Mezzogiorno. E, non casualmente, nei talk show serali, il Sud è stato ancorato quasi esclusivamente al reddito di cittadinanza».
E allora qual è l’impostazione che lei propone?
«Ne propongo una che non obbedisce a ideologie o teoremi. Ma è frutto di quel che ho fatto e visto. La dico semplicemente: in larga parte del territorio meridionale è tempo perso parlare di sviluppo economico senza mettere mano alle questioni sociali. Ed è proprio il sottotitolo della nostra iniziativa di domani: “Il sociale prima dell’economico per uno sviluppo possibile”».
Perché questa strada non è stata seguita?
«Perché si ritiene, a torto, che il capitale sociale sia una conseguenza dello sviluppo. E invece no, è una precondizione. Investire in questo senso, ripeto, non è una mossa ideologica ma dovrebbe essere il risultato di una strategia economica».
Ma in concreto a cosa si riferisce parlando di «questioni sociali»?
«Le due priorità: vorrei che i programmi delle amministrazioni regionali del Sud iniziassero con la lotta alla povertà educativa e con seri interventi operativi nelle periferie delle grandi città, lì dove la disgregazione sociale è intollerabile. Ma, mi rendo conto, sono sogni senili».
Come si corregge la cultura dello sviluppo?
«Purtroppo la nostra idea è che il Sud debba ricevere risorse e interventi dal centro per risolvere i problemi. Per carità, sono necessari ma non sufficienti. Nella storia recente di trasferimenti ne abbiamo visti tanti ma, quando arrivano su territori senza coesione comunitaria, vengono sprecati. Di più, diventano assistenziali e oppressivi».
Il Pnrr rischia di inserirsi in questa logica?
«Ci sono tre ordini di problemi. Innanzitutto, la dote finanziaria per l’Italia è stata così generosa proprio per risolvere il nodo delle diseguaglianze territoriali. E invece, al Sud, alla fine, è andato il 40%, la solita quota perimetrata sulla popolazione. Se riusciamo manteniamo il solito gap, se falliamo rischiamo di allargare la forbice. Poi, c’è un nodo legato alla debolezza delle amministrazioni meridionali che si volevano gonfie di personale e invece “scopriamo” essere sguarnite e deboli».
E il terzo punto?
«Sono tutte spese fisse. Nel senso che realizzano qualcosa ma poi, alla gestione, dovrebbe provvedere il Comune che magari non ha i soldi».
Morale della favola?
«Il Pnrr può dare una grossa mano, innescare qualche cambiamento, ma non sarà risolutivo. Servirebbero politiche intelligenti e lungimiranti, fuori dallo straordinario».
La preoccupa l’autonomia differenziata?
«Onestamente, non penso ci saranno accadimenti immediati su questo versante ma ritengo che il segnale, in termini culturali e politici, sia molto grave. La Costituzione è molto chiara: l’autonomia si può fare ma sempre in un quadro di solidarietà che tuteli l’unità nazionale».
Il Sud ha un problema di rappresentanza?
«Quel problema ce l’ha tutto il Paese. Io direi che, nello specifico, il Sud ha un problema di rappresentazione, di come il Mezzogiorno viene raccontato: poca attenzione a ciò che funziona e grande enfasi su ciò che non va».
A proposito di racconti, lei è napoletano ma è anche tifoso?
«Certamente».
Sarà felice per lo scudetto...
«Molto e rispetto a 33 anni fa rilevo che tanto è cambiato. Non è più un fatto per appassionati e addetti ai lavori. C’è un potere mediatico molto forte che amplifica l’impatto dei fenomeni calcistici e che può avere conseguenze rilevanti sullo sviluppo dell’area».
Ecco, ma non stiamo ancora una volta scadendo nella rappresentazione del folklore?
«Sì, quella tendenza qualche volta riaffiora. Ma attenzione: il Napoli non solo ha vinto lo scudetto ma lo ha fatto con i conti in ordine, a differenza di molte grandi realtà del Nord. Se teniamo la metafora, potrebbe essere il riferimento di uno sviluppo vincente».