L'intervista

«Putin vuole resuscitare l’antico impero russo»: la parola a Nicola Latorre

Leonardo Petrocelli

Parla il direttore generale dell’Agenzia Industrie Difesa: l’allargamento Nato? Se ne parli dopo il cessate il fuoco

Nicola Latorre, docente di Politica estera e difesa italiana all’Università Luiss «Guido Carli» e direttore generale dell’Agenzia Industrie Difesa (Aid), già senatore del Partito democratico, qual è la sua lettura del conflitto in corso in Ucraina?
«L’iniziativa di Putin è stata formalmente suggerita dall’esigenza di tutelare la sicurezza della Russia di fronte al rischio di un ingresso dell’Ucraina nella Nato, valutato come una minaccia».

E questa argomentazione non la convince?

«No affatto, l’invasione dell’Ucraina è mossa piuttosto dall’idea di ricostruire i confini dell’impero russo, precedente ai tempi della Rivoluzione d’Ottobre. Tanto è vero che Putin addebita all’Unione sovietica la responsabilità di aver ridimensionato l’antico impero».

E tuttavia il tema della Nato è reale. Ci sono accordi, successivi alla caduta dell’Urss, con cui gli americani si impegnano a non portare la Nato oltre l’Elba e tutti i grandi analisti americani, da Kenan a Kissinger, ripudiavano l’idea di trasformare uno stato cuscinetto come l’Ucraina in un avamposto...

«Non voglio sfuggire a questa osservazione che resta pertinente. Ma mettiamola così: la priorità è fermare il conflitto e ritrovare la via diplomatica. Dopo, e solo dopo, ricostruita la possibilità di sedersi intorno a un tavolo, si potrà affrontare il problema».

Un problema comunque dirimente

«Non c’è dubbio. Ma, sia chiaro, si tratta di operare un bilanciamento tra le esigenze di sicurezza della Russia e quelle di autonomia dell’Ucraina. E tuttavia mi ripeto: al momento l’urgenza è stoppare la scia di sangue».

Che strada ritiene prenderà il conflitto?

«Siamo di fronte a un bivio che interroga la natura della leadership russa. Putin è un abile giocatore di scacchi che vuole alzare la posta o invece mira a prendere l’intera Ucraina per poi “puntare” le repubbliche baltiche?»

Mentre la storia risponde all’interrogativo in Italia si dibatte sulle sanzioni. Strumento efficace o c’è il rischio autogol?

«Non volendo intervenire militarmente per evitare di scatenare la terza guerra mondiale, le sanzioni sono l’unico strumento nelle nostre mani per agire sul Cremlino. Bisogna individuarne la tipologia con molta cura, però».
Il pericolo, infatti, oltre a danneggiare le nostre imprese, è quello di colpire principalmente il popolo russo...
«Assolutamente. Mi affido alle nostre cancellerie per individuare le misure più efficaci nella considerazione, me lo lasci dire, che quello russo è un popolo fratello, intimamente inserito nella storia europea di cui è parte. Questa crisi deve fermarsi anche per ricostruire un dialogo e un confronto».

Questa crisi ha un lungo preambolo, però, infuriando un sanguinoso conflitto nel Donbass già dal 2014. Una polveriera sottovalutata?

«Tutta l’opinione pubblica ha spento i riflettori su una situazione che prodotto 14mila vittime di una guerra guerreggiata che era già in corso e sulla quale non c’è stata la minima attenzione, complici le vicissitudini che hanno travolto gli Stati negli ultimi anni. Aver trascurato l’intera situazione e la mancata applicazione degli accordi di Minsk è stato una gravissima responsabilità».

Infine, difficile azzardare previsioni sull’evolvere del conflitto la difesa italiana come si sta preparando?

«L’intero sistema di difesa, dal punto di vista della presenza e dei sistemi, si sta ponendo l’obiettivo di supportare l’iniziativa del popolo ucraino e della sua resistenza in armonia con l’azione della Nato e dell’Unione europea che, mai come ora, ha bisogno di essere unita».

Privacy Policy Cookie Policy