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Architettura democratica, la lezione di Carlo Ratti

Alessandra Loglisci

L'architetto e curatore della Biennale di Architettura di Venezia 2025, analizza le moderne metodologie attraverso il racconto storico della progettazione partecipata

«Cari architetti, sono stanca delle vostre stronzate» scrive la giornalista Annie Choi nell’estate 2006 quando le viene chiesto di pubblicare una lettera aperta sulla rivista specialistica Pidgin.

Carlo Ratti sceglie il caustico commento di Choi per aprire il sesto capitolo del suo nuovo libro Architettura Open Source Reloaded edito da Einaudi e per riassumere la critica mossa ai metodi di progettazione, costruzione e utilizzo dell’architettura contemporanea. Il senso di inadeguatezza della disciplina, nel rispondere in maniera concreta ed efficace alle esigenze degli utenti finali, è riconosciuta come un’implosione della stessa. Si richiamano così gli addetti ai lavori ad un’opportuna riflessione.

Ratti, architetto e curatore della Biennale di Architettura di Venezia 2025, analizza le moderne metodologie attraverso il racconto storico della progettazione partecipata. Riconosce nel Movimento Moderno le radici dello scollamento tra l’architetto e i destinatari del progetto da cui deriva la perdita dell’obiettivo: fare architettura per rispondere alle esigenze di chi la vivrà.

Nell’approccio critico di Ratti, centrale è la figura dell’architetto prometeico. Il professionista, cioè, che come il personaggio del mito greco, dona il fuoco all’uomo rappresentando così un punto di svolta nell’evoluzione. L’architetto prometeico pretende di «orchestrare la società per mezzo di un ambiente progettato». Attraverso un excursus di autori, Ratti arriva a riconoscere nel villaggio per operai a Pessac (che Le Corbusier aveva trattato come caso studio per mettere in pratica i suoi cinque punti) il fallimento della standardizzazione del Movimento Moderno. L’architettura è fatta per chi la vive. Non può essere calata dall’alto. Non si può andare contro natura. Ratti ricorda come il ruolo autoritario dell’architetto ha radici antiche: nasce con Vasari che per primo è ossessionato dall’idea di associare l’opera a un nome. La firma a garanzia della qualità.

Di contro, Bernard Rudofsky, nel 1965, porta avanti la battaglia della “non-pedigreed architecture” ovvero, dell’architettura non blasonata. Un elogio dell’architettura vernacolare; espressione di vita collettiva e di progettazione sostenibile. Il lento processo di adattamento dell’architettura per tentativi successivi conduce all’ottimizzazione teorica e pratica degli spazi costruiti (intesi anche come città).

E così, nel libro, si fa una disamina della progettazione collettiva svelando il reale elitarismo dei modelli partecipativi tradizionali nascosto dietro il rassicurante “velo” della democrazia. Suggestivo e centrale nell’opera il dialogo – costruito facendo ricorso all’intelligenza artificiale – tra Carlo Ratti e l’architetto Christopher Alexander (scomparso nel 2022) attraverso il  quale si giunge a una conclusione: la pseudo-partecipazione altro non è che un’attenuante sociale per mettere in pratica ideologie predeterminate.

Ratti formula una domanda: è possibile, attraverso internet,  trasformare il tradizionale modello partecipativo in azione concreta?

L’excursus di autori ed esperienze che segue definisce i cardini teorici e racconta le esperienze pratiche dell’architettura Open Source. 

Un processo collettivo che coinvolge specialisti e non, in una progressiva erosione del confine tra autore e utente finale. Il nuovo approccio proposto coinvolge l’intero processo creativo dell’architettura: dal disegno alla gestione degli spazi.

La proposta è una costruzione comunitaria degli spazi. Gli strumenti: il web e le moderne risorse digitali.

Attraverso la descrizione di esperienze che vanno dal design alla città Ratti insiste: l’utente finale va affrancato dal ruolo di “vittima” dell’autoritarismo del progettista.

In aiuto di questa visione oggi ci sono le creative commons che hanno sostituito i diritti d’autore: licenze attraverso le quali sussiste la possibilità di modifica e riadattamento di un prodotto da parte di chiunque si trovi a utilizzarlo purché sia citato l’autore originario. 

Le nuove tecnologie digitali sono strumenti fondamentali per la condivisione immediata di contenuti. L’idea di condivisione e collaborazione è ora possibile.

L’Architettura Open Source presuppone un radicale cambio di prospettiva, lontano dalle logiche della concorrenza; il design e l’architettura si mettono a servizio della vita dell’uomo e non come strumenti di profitto.

E gli architetti dove vanno a finire? Sicuramente il genere che faceva tanto infuriare Choi non esiste più. È il momento dell’architetto-corale: si avvarrà di un sistema operativo da condividere e aprire ai molteplici riadattamenti e alle modifiche richieste dai cittadini. Non rinuncerà alla firma sul progetto ma medierà tra locale e globale orchestrando il processo di materializzazione delle idee. Perché tutta la forza relazionale che supera in importanza la composizione, diventi “mattoni e cemento”.

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