il romanzo

Una favola contro il potere: i Viaggi di Gulliver mantengono inalterato il fascino delle parole e delle immagini

fulvio colucci

No, non è opera dedicata all’infanzia, ma agli adulti. Pur essendo libro che cattura e catturerà per sempre la fantasia dei piccoli, va annoverato tra i classici più «pericolosi»

Siamo ancora lì. A leggere e rileggere I viaggi di Gulliver. A stupirci di come Jonathan Swift ingannò il potere denudandolo. Grazie a un romanzo per i bambini, con apparente leggiadra innocenza. Ma quella apparente, leggiadra innocenza, non è che il Cavallo di Troia utilizzato per colpire al cuore la società europea all’alba del ‘700: denudandola, scorticandola, esponendola in tutta la sua drammatica contraddizione, diretta conseguenza della Guerra dei Trent’anni. Non a caso, Swift citò Sinone, citò l’Eneide: il soldato greco convince i troiani ad aprire le porte alla gigantesca macchina distruttrice, spergiurando: mai «falso e bugiardo». Swift, con tagliente e corrosiva ironia, mise alla berlina l’Europa, esaltando la Costituzione inglese, fresca di Bill of Rights e di Gloriosa Rivoluzione del 1689. Un solido stratagemma.

No, I viaggi di Gulliver – utile ripeterlo all’infinito quando lo si maneggia – non è opera dedicata all’infanzia, ma agli adulti. Pur essendo libro che cattura e catturerà per sempre la fantasia dei piccoli, va annoverato tra i classici più «pericolosi». A sottolinearlo fu lo scrittore cileno Roberto Bolaño con mirabile sintesi: «Prende a schiaffi i lettori e non li lascia dormire. Eppure, se non vogliamo essere schiavi, se non vogliamo che i nostri figli lo siano dobbiamo leggerlo e rileggerlo. È compito urgente». Questa volta, il compito sempre urgente, sempre necessario, sempre arduo, lo assume Einaudi. Provate a scorrere la nuova, elegante, edizione del testo di Swift pubblicata dalla casa editrice. Leggete la traduzione della critica letteraria Anna Nadotti, guardate le illustrazioni di Lorenzo Mattotti, collaboratore del “New Yorker”: troverete l’«esperienza sensoriale a tutto tondo» promessa in sede di presentazione, realizzata lasciandosi alle spalle le province del silenzio; le «aree» individuate da George Steiner dove la traduzione delle grandi opere è ancor più indispensabile per non lasciar latitare il pensiero. 

Attraverso gli universi paralleli delle parole e delle immagini, attraverso la loro armonizzazione, viene tracciata la rotta oceanica che porta dritto all’essenza di Swift: l’inventiva multidimensionale da cui nacquero Gulliver, i suoi viaggi, i popoli fantastici: dai nani di Lilliput ai giganti dell’impronunciabile Brobdingnag; dagli scienziati oppressori dell’isola di Laputa ai cavalli sapienti dell’altrettanto impronunciabile terra degli houyhnhnm alle prese con le rozze scimmie così umane chiamate yahoo. L’inventiva poi sbocciò – ci risiamo – nello «stratagemma» astuto: mescolare favola e satira per demolire secoli di apologie a vantaggio dei potenti. Con il coraggio smisurato, per altri versi donchisciottesco, del medico di bordo Lemuel Gulliver, Swift mostrò «re nudi» a tutte le latitudini. Perché parlando di fantastiche terre nuovissime, alludeva in realtà al vecchio continente; la lucida e feroce critica pre-illuminista o forse già proto-illuminista alle strutture politiche e sociali di quell’Europa contraddittoria, perché sospesa tra i sovrani costituzionali inglesi e l’assolutismo franco-russo: da Luigi XIV agli zar. Un’Europa, scrive Gulliver con parole di sferzante attualità nella lettera a suo cugino Sympson, atto finale del romanzo, in cui è radicata l’«infernale abitudine di mentire, truffare, ingannare ed equivocare». Abitudine dalla quale Gulliver prende le distanze grazie a un cavallo sapiente houyhnhnm, diventato nel frattempo suo padrone durante il quarto viaggio. Distopia pura, non solo dei luoghi a ben vedere, a vantaggio addirittura di una critica nella critica. Proprio mentre fa appello alle virtù della Ragione per incalzare il potere e il suo malcostume, Swift mette in guardia dalla esaltazione dei Lumi, soprattutto dalla loro assolutizzazione. 

I viaggi di Gulliver rimane un sogno complesso, a più stadi. Non si può prescindere dal “vederlo” - nella sua fase più intensa, di sogno, una fase REM - prima di leggerlo, associandolo alle molteplici profezie di Swift sul futuro. 

Il libro viene pubblicato nel 1726 a quattro anni dalla scoperta dell’isola di Pasqua da parte del navigatore olandese Jakob Roggeven, mentre il danese Bering, su incarico dello zar Pietro il Grande, esplora la Siberia. Ecco, l’idea che Swift fosse venuto a conoscenza della sorprendente scoperta delle misteriose statue giganti disseminate sull’Isola di Pasqua, che i “colossi” Moai potessero averlo ispirato, è poco più di una suggestione ma vale. Vale a dire che l’età delle scoperte – soprattutto tra XVII e XVIII secolo – accorcia le distanze sulla terra e allunga il pensiero dell’uomo moderno. Un dato rilevante se, per esempio, duecento anni dopo, Italo Calvino, nello scrivere Un ottimista in America, diario del soggiorno negli Stati Uniti fra il 1959 e il 1960, prende in prestito il modello dei «viaggi di Gulliver» esaltando il processo di conoscenza prodotto dalla letteratura da viaggio. Critica del sistema politico, critica dei costumi, critica – soprattutto – dell’evoluzione scientifica. Swift profeta. E non a caso piacque a un visionario come George Orwell, suo erede diretto. Sì, leggendo e rileggendo Swift, siamo ancor più convinti che Francesco Guccini, nel celebre brano dedicato a Gulliver, sbagliava: da tempo e mare s’impara tutto.

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