il libro

Lo sguardo di Ulisse: Tommaso Campanella e una lettura necessaria

fulvio colucci

Cosa resta dopo il fallimento, il disinganno, la caduta, la terribile cattività? L’idea di uno Stato ideale, progetto rivoluzionario. Lezione attualissima?

Ci assumiamo tutta la responsabilità dell’eresia e della ribellione nello scrivervi due righe, carissimi lettori di Icaro,  su La Città del Sole di Tommaso Campanella. 

Partiamo dalla finzione o meglio, dal pretesto. Cioè dalla volontà di recensire telegraficamente il celebre testo filosofico del frate calabrese, disimpegnandovi dal tedio e dalla noia. Campanella fu condannato dal Sant’Uffizio per eresia a oltre vent’anni di carcere, nel 1601. Si finse pazzo, altrimenti sarebbe finito sul rogo. Bruciava ancora quello di Campo de’ Fiori a Roma, dove un anno prima era sfumata la speranza del libero pensiero italiano, spegnendosi l’astro di Giordano Bruno. 

Einaudi ha pubblicato un’inedita seconda edizione del libro (pp. 492, euro 34) apparso nel lontano 1941. A curarlo, nel crudele tempo di guerra, fu il giovane Norberto Bobbio. A spingerlo verso l’impresa fu un altro gigante del pensiero italiano, scomparso troppo presto per mano nazista: Leone Ginzburg.

Basta rileggere alcune pagine introduttive di Bobbio e si comprende il valore assoluto e necessario di una lettura (o rilettura) della Città del Sole

Campanella, ricorda il filosofo torinese, scrive dal carcere ripensando al tentativo di insurrezione in Calabria, alimentato dall’illusione di creare una repubblica, insieme, comunista e teocratica. Cosa resta dopo il fallimento, il disinganno, la caduta, la terribile cattività? L’idea di uno Stato ideale, progetto rivoluzionario e, sottolinea Bobbio, coacervo «palpitante ancora della vita, degli ideali». Lezione attualissima? Lasciamo, come sempre ai lettori, l’ultima parola.

Ma recensire la La Città del Sole, lo accennavamo sottotraccia, è da parte nostra una opzione eretica (forse etica?) e ribelle. Un pretesto. Una spericolata associazione di idee elaborata esplorando lo splendido scritto del frate domenicano. Una frase, una frase sola: «Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata». 

Icaro, questa settimana, parla della città declinata nelle molteplici dimensioni care all’inserto della “Gazzetta”. E città oggi, tra le altre cose, vuol dire emergenza abitativa. Si avvera il passaggio dantesco: «Per altri porti verrai a piaggia» (Inferno, Canto III). Prendendola alla larga e non immaginando di arrivare dove arriviamo, il nostro scritto attracca lì dove ribolle il vizio capitale: non è più città senza il legittimo esercizio del diritto all’abitare in modo equo e vorremmo dire solidale. Non è più città, non è più luogo del sole. Ricordate Bukowski? «Oggi ho camminato nel sole e nelle strade di questa città: senza vedere nulla, senza imparare nulla, senza essere nulla». Vogliamo davvero ridurci come gli operai-servi del visionario Metropolis di Fritz Lang? Viva Campanella, viva La Città del Sole. Viva la città di tutti e per tutti. E adesso preparateci il rogo.

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