La riflessione
Il viaggio nelle ombre: la verità di Agnese Pini
Ci sono verità che ci accompagnano per una vita intera, senza mai essere dette. Rimangono sospese, come voci basse nelle stanze della memoria. È attorno a una verità ‘invisibile’ che Agnese Pini costruisce il suo memoir «La verità è un fuoco» (Ed. Garzanti, pagg. 336, euro 19), un libro struggente, destinato a lasciare il segno. Dopo «Un autunno d’agosto», in cui affrontava una tragedia collettiva, la giornalista e direttrice del Quotidiano Nazionale torna alla scrittura per mettere a nudo una ferita più intima: la storia taciuta di suo padre, e con essa tutto ciò che in una famiglia resta non detto, dimenticato, rimosso. Cuce tutto questo con un racconto potente e lucidissimo, una storia intima e insieme universale, scritta con precisione chirurgica e tenerezza pudica, in cui l’autrice ricostruisce l’enigma affettivo di suo padre. Un uomo che ha rinunciato al sacerdozio per amore, ma che ha lasciato dietro di sé un silenzio profondo, quasi sacro.
Tutto comincia da un’assenza di parole. A tredici anni Agnese scopre casualmente che suo padre è stato un prete: lo capisce quando rinviene un album rosso con scritto «don Pini» in copertina, mentre le foto raccolte all’interno ritraggono un giovane sacerdote dall’espressione assorta
Nessuno ne ha mai parlato. Nessuno ha mai spiegato. Quel silenzio, però, non è vuoto: è una domanda viva, che si propaga lungo gli anni e prende corpo in questo libro, costruito come un atto di scavo e restituzione. Non è un romanzo, né un diario. È un memoir psicoanalitico, quasi una lunga seduta interiore, dove l’autrice si spoglia del ruolo pubblico per inseguire un nodo biografico rimasto per anni al centro della sua ombra. Il Dottor F., figura reale e simbolica, rappresenta questo processo: «Ogni volta il dottor F. mi chiedeva dei miei sogni. Ogni volta gli rispondevo che da tanto tempo non mi capitava più di fare sogni che riuscissi a ricordare». Il sogno - qui - diventa metafora di una memoria sommersa, che solo la scrittura può far riemergere.
Il racconto si articola in quattro stagioni - Primavera, Estate, Autunno, Inverno - come se il tempo della vita venisse trasposto in una partitura musicale in quattro movimenti. La Primavera è l’irruzione della scoperta, ma anche la germinazione del dubbio. In Estate, l’autrice lavora nella biblioteca del Seminario vescovile di Sarzana, dove suo padre aveva studiato. «Nel mistero della casa di Dio agognavo dunque di trovare la soluzione al tuo mistero. La chiave per aprirmi alla possibilità di pensarti prete, non solo padre, e soprattutto uomo, prima di ogni altra cosa. Creatura imperfetta e fragile, vacillante e insicura, contraddittoria e debole e perfino meschina, talvolta, come lo siamo tutti: peccatori e santi, poveri e ricchi, primi e ultimi, e ultimi e primi. Padri, madri, figli».
Autunno è la stagione della consapevolezza: la distanza, gli studi universitari, le prime relazioni adulte. È lì che si fa spazio anche la riflessione sul sacrificio e sull’amore dei suoi genitori: «Non basta, l’amore. Il dovere, le promesse, gli impegni, i voti, i colleghi, il parroco, il vescovo, la madre, il padre. Quanta vita premeva contro di loro?». Ma è Inverno il nucleo più toccante e lirico del libro. L’autrice visita la chiesa di Vezzano, dove il padre fu parroco, in cerca di un segno, un contatto, un’intuizione. «Entrai sperando che la verità che cercavo, che la risposta alle mie domande arrivasse infine come un’intuizione, o una rivelazione». E in quella soglia, forse, accade davvero qualcosa: un abbraccio invisibile, un ricongiungimento senza parole.
Il titolo prende spunto da una verità mai esibita, ma che brucia dentro. Agnese è sorpresa quando scorge nello studio del Dottor F. una riproduzione della «Nuda Veritas» di Gustav Klimt. Dove la frase tedesca di Leopold Schefer (inserita dal pittore austriaco nella prima versione) è una scintilla deflagrante: «La verità è un fuoco, e parlare di verità significa illuminare e bruciare».
Lo stile è tra i punti più alti del libro: limpido, lirico, privo di retorica. Pini scrive con grazia e lucidità, trattenendo l’eccesso, asciugando l’enfasi, ma lasciando trasparire tutto il dolore e la commozione. Non è solo un memoir familiare, ma un atto etico e letterario, che ci riguarda tutti. Perché chi non ha avuto, nella propria storia, parole non dette, misteri sospesi, padri da comprendere? «La verità è un fuoco» è uno di quei libri che dovremmo scrivere ai nostri genitori. O leggere da figli, prima che sia troppo tardi.