sipario
La folle corsa del tram sulle strade di New Orleans
Dove le psicologie e i traumi sono tagliati con l’accetta, dove il bianco-nero non lascia scampo né ombra, come da film meravigliosi
In Un tram che si chiama Desiderio, il dramma di Tennessee Williams del 1947, quello nel titolo non è il desiderio sentimental-sessuale (cosa che pure nel testo sovrabbonda) quanto proprio il nome, Desiderio con la maiuscola, del tram che a New Orleans porta dal centro ai Campi Elisi (!), laddove Blanche DuBois si presenta in casa di sua sorella, Stella, sposata con Stanley Kowalsky: è questi un tipaccio rude e crudo, quanto lei, la Blanche, si mostra affetta da sognanti delicatezze e nostalgie da Vecchio Sud, benché intrise da robuste sorsate di whisky e da non sopiti slanci sessuali. Ah, la magnifica eloquenza dei grandi drammi socio-psicologici di quegli anni ’40/’50, in area americana, dove i simboli sono belli esibiti (qui in Williams, per dire, se un tram si chiama Desiderio, quello che segue si chiama Cimitero, tanto per chiarire!) dove le psicologie e i traumi sono tagliati con l’accetta, dove il bianco-nero non lascia scampo né ombra, come da film meravigliosi!
Un tram che si chiama Desiderio furoreggiò a New York al debutto nel dicembre ’47 al Barrymore Theatre, 855 repliche a seguire. Bella forza: Stanley era un Marlon Brando appena in fiore, Blanche era Jessica Tandy, Mitch (amico di Stanley che circuisce Blanche) era Karl Malden. Nell’annata seguente Brando fu sostituito da un altro giovane, tale Anthony Quinn. La regia fu di Elia Kazan, lo stesso regista che nel ’51 diresse il film celeberrimo, sempre con Brando-Stanley, ma con Vivien Leigh come Blanche. Grandi problemi con la censura, specie nel film, con attenuazione della violenza, in linguaggio e in fisicità sessuale, con oscuramento del dato dell’omosessualità, che nel testo si attribuisce ad Allan, antico marito di Blanche, suicida in quanto scoperto e scacciato via dalla moglie. Nel film Stella, sorella di Blanche e moglie di Stanley, abbandona la casa col bimbo neonato, mentre nel testo di Williams si adatta a restarvi, dopo che Blanche (nel frattempo violentata da Stanley) viene trasportata in una clinica mentale.
Roba tosta, anzi tostissima. Non se la lasciò sfuggire Luchino Visconti, che mise in scena il Tram nel 1949, a Roma, Teatro Eliseo. Cast discreto!, con Rina Morelli (Blanche), Vittorio Gassman (Stanley), Vivi Gioi (Stella), Marcello Mastroianni (Mitch) con le scene di Franco Zeffirelli. Anche qui mugugni della censura, attese, polemiche, successone con trenta chiamate in ribalta per gli attori dopo il sipario. Alla prima, dicembre ’49, con in sala anche l’autore Tennessee Williams, si videro anche Palmiro Togliatti e Nilde Jotti. Nella virulenza, tra naturalismo dell’impianto generale ed espressionismo della messinscena (suoni, rumori di fondo, effetti) specie nella recita degli attori, si contarono cinque bottiglie rotte in scena, quattro da Gassman, una dalla Morelli, più una ventina di sigarette accese-spente, più bottiglie di Coca-Cola, ecc. Piacque, dispiacque, entusiasmò. A proposito della follia finale di Blanche/Morelli, che intanto quando viene portata via non si sottrae dal civettare col dottore, pare che Anna Magnani, presente alla prima abbia detto: Si stava a Roma, no’ je succedeva niente. Qui semo abituati a ‘ste cose.