Icaro

Nichi Vendola: Poesia e preghiera

Pasquale Bellini

Non riesco a resistere ai cortocircuiti dell’intelligenza, alla deflagrazione tra il senso, il suono e il significato delle parole, se queste riescono a sintetizzare argutamente una situazione socio-culturale, un intero mondo di idee o di persone. Quando ho avuto tra le mani il volume di poesie Sacro queer, l’ultimo di Nichi Vendola pubblicato da Manni Editore, l’apparente risvolto blasfemo ma brillante del titolo, una volta scorse le pagine dei testi e dei versi, ha rivelato piuttosto una loro dimensione di “preghiere laiche”, rivolte dall’autore sì a figure di un mondo queer inteso etimologicamente quale “strano, stravagante, bizzarro” (nello slang anglosassone semplicemente “finocchio”), ma piuttosto teso a un superamento della contingenza biografica o dell’episodica pensosa, verso un’assunta (a volte dolorosa) consapevolezza etica, per non dire politica. Certo è un mondo di parole, quello di Vendola, sia pure adagiate nel letto confortevole della tradizione poetica novecentesca, con echi da Campana a Montale, da D’Annunzio (anche!) a Palazzeschi, da Caproni a Penna, ma nel ricordo poi anche di antiche preghiere (vere), o di infantili filastrocche a correggere troppo virulenti empiti della mente e del cuore. «Le parole... cercano un approdo, un domicilio anche solo precario nel verso e nel suo controverso, cioè nello spazio poetico» dice Vendola che poi si chiede «A che serve la poesia? E Dio, Dio a che serve se sono morte le parole?». Beh, su Dio non mi pronuncio, ma quanto alla poesia, anche leggendo questa poesia di Nichi Vendola, ritengo che essa apra come un sipario, rivelando un teatro interiore dove il cuore/queer che sia, intona un proprio epicedio ora lamentoso ora musicale, nella consapevolezza che «la poesia non cambia il mondo», ma forse aiuta a rispondere alla domanda «dov’è tuo fratello?». Una poesia di Sandro Penna presiede alla serie di Vendola: Felice chi è diverso/essendo egli diverso./Ma guai a chi è diverso/ essendo egli comune. Non comune è questa serie di poesie di Nichi Vendola, che conclude la sua presentazione con «Queer è la nostra dichiarazione di guerra a tutte le vostre guerre». Delle poesie presenti nel volume del Sacro queer vendoliano ho apprezzato Madonna di Cutro, la dura Per Tiffany, la svelta Tarocchi, la fosca Transiti del cuore, quella per Vladimir Luxuria L’orgoglio, Un muratore debitrice a Sandro Penna, Il tempo dedicata a Franco Grillini. Notevole anche La tua malattia per Michela Murgia, mentre poi Dolce cuore di Gesù ha ritmi e cadenze alla Campana, come Ai piedi del figlio richiama antiche processioni di paese dietro una Mater Dolorosa. Al fratello Gianni scomparso è dedicata La grande onda, a più intime gioie segrete è rivolta Quando sei nato tu. Nella Canzone per Paolo Pietrangeli (il cantautore, morto nel 2021, autore di Valle Giulia e di Contessa) il verso più bello «nell’autunno del nostro rimpianto» è evocatore di atmosfere scespiriane. Vendola ha posto in coda al suo libro La ballata di Rocco Scotellaro, quella che recitò anche nel dicembre 2023 nel Teatro Piccinni, nello spettacolo È fatto giorno (con l’attrice Carmela Vincenti) nel centenario dalla nascita del sindaco poeta.

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