L'intervista
La versione di Marcello Foa: rompere la gabbia, sfida al conformismo
Una lettura «in controluce» di Elon Musk, sospesa fra le pericolose tentazioni monopoliste e l’aria nuova che il padrone di X ha fatto entrare nelle blindate stanze dell’informazione mainstream
Se gli indignati in servizio permanente lo liquidano con una scomunica, Marcello Foa, come spesso gli capita, sceglie una strada diversa. E offre di Elon Musk una lettura «in controluce», sospesa fra le pericolose tentazioni monopoliste e l’aria nuova che il padrone di X ha fatto entrare nelle blindate stanze dell’informazione mainstream, in quel «sistema invisibile» che Foa - giornalista e già presidente della Rai - aveva denunciato con efficacia in uno dei suoi saggi più fortunati.
Foa, da dove cominciamo?
«Dal principale merito di Musk: la gestione libera della piattaforma X. Grazie a lui abbiamo saputo che l’amministrazione Biden operava una censura silenziosa sui social. Zuckerberg lo aveva ammesso già questa estate ma la notizia era stata contenuta. Ora è esplosa. Insieme alla consapevolezza che tanti contenuti, su questioni di assoluta rilevanza, sono riusciti a passare solo su X».
E questo cosa ci suggerisce?
«Che il sistema mainstream non ha più il monopolio della parola. Si aprono spazi, possibilità ed è una cosa sana. Io sono un liberale di scuola montanelliana: per me la democrazia dovrebbe essere confronto, dialettica».
Il mondo di cui parla è anche il suo, Foa...
«Da tempo sono fortemente critico nei confronti del nostro mondo. Altro che cane da guardia della democrazia, il giornalismo è diventato il cane da guardia del potere consolidato a cui è sempre troppo vicino. Siamo imprigionati in una sorta di religione. Chi si esprime in modo critico su certi temi viene immediatamente scomunicato: no vax, putiniano, complottista. Ci si è spinti fino a dare del rincoglionito a un premio Nobel»
E basta l’irruzione di Musk per mettere in crisi il «sistema invisibile»?
«Il sistema riesce ancora a dettare l’agenda mediatica e quindi politica, ma con Musk è molto più difficile. Le elezioni americane dimostrano che il mainstream non smuove più le masse come un tempo».
In compenso, il padrone di Tesla si pone anche come interlocutore sul piano politico e delle idee. Come giudica le sue incursioni?
«È un anticonformista ed è talmente famoso che le sue uscite suscitano un clamore che gli altri, per sé, non potrebbero nemmeno immaginare e raggiungono un pubblico anagraficamente inaccessibile per grandi giornali e Tg. Ripeto, ha rotto un monopolio, una narrazione».
E s’è beccato la più classica delle reductio ad Hitlerum: fascista, populista, nemico della democrazia.
«Un grande classico. Musk può avere ragione oppure no ma nessuno lo contrasta sul piano delle idee, replicando nel merito. È pura character assassination, distruzione della reputazione».
Nel suo anticonformismo è diventato anche avversario del politicamente corretto e della cultura woke.
«Pare abbia fatto questa svolta dopo che uno dei suoi figli ha cambiato sesso. Può essere. In realtà il mondo woke è stato messo in crisi più da Trump. Nonché da molti giornalisti e speaker di peso, non solo di destra. Penso a Tucker Carlson, a Joe Rogan, a Glenn Greenwald che ha fatto esplodere il caso Snowden. Tutta gente che non ne può più del politicamente corretto».
Ora Musk potrebbe prendersi anche TikTok. Le piacerebbe?
«Riconosco i meriti di Musk ma, come ho detto, sono un liberale. Se si prendesse anche TikTok da sommare a X, Tesla, SpaceX e a tutte le sue altre società operative in ambiti delicatissimi, come l’intelligenza artificiale, sarebbe troppo. Un’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di una sola persona non va mai bene. A quel punto le critiche sarebbero giustificate».
Qualcuno ha coniato per lui il termine «tecnodestra», una sorta di convivenza tra innovazione tecnologica e pensiero conservatore. Che ne pensa?
«Mi sembra un’etichetta curiosa e poco fondata. La destra farebbe male a idolatrarlo così come la sinistra sbaglia a demonizzarlo. Anche perché per loro, fino all’altro ieri, Musk andava benissimo: un genio della Silicon Valley, un eroe del green...».
È dietro l’angolo l’obiezione sui satelliti...
«Dovrebbe essere la Nasa a mandare qui satelliti in orbita ma il sistema americano fa sì che molte funzioni strategiche siano affidate ai privati. Vale per i cloud come per i satelliti, appaltati al fondatore di SpaceX con pieno consenso di democratici e repubblicani. In questo senso Musk è un frutto del sistema, non un ribelle che vuole rovesciarlo».