sipario
Generazioni in crisi anche a teatro
Tutto cominciò da Edipo, che sa perfettamente che quel vecchio sul carro al crocicchio fra Corinto e Delfi è proprio il padre
Questi padri e figli! Non c’è crisi che abbia ingombrato di sé il teatro di tutti i tempi, nei secoli dei secoli, quanto quella fra padri e figli, sempre risolta (?) in tragedia, fra lacrime e sangue, delitti ed espiazioni. Cominciamo, siamo a teatro!, dal Prologo, anzi dalla “scena primaria”, nella quale, in psicanalisi, ogni geloso figlio di mamma assiste, per caso, all’ amplesso fra i genitori e “deve” uccidere il padre.
Cominciamo perciò da Edipo. È del tutto evidente, giustamente Freud chioserà Sofocle, che il ragazzo Edipo sa perfettamente che quel vecchio sul carro al crocicchio fra Corinto e Delfi è proprio il padre, quel papà cattivo che lo ha esposto a morte sui monti, dopo avergli trafitto i piedi. Ovvio che nasconderà il fattaccio a se stesso, dimenticando tutto: occorrerà tutta la
pazienza e l’arte di Sofocle per dipanare il busillis nell’Edipo re, dopo la Sfinge con l’indovinello, le nozze con mamma Giocasta, tra orrori sanguinosi, suicidi e accecamenti finali. Nel dramma storico si aggiunge poi la faccenda del potere politico, spesso regale, a complicare generazioni e gerarchie. Filippo se la prende con Don Carlos, in quanto padre o in quanto re e tiranno? Chiedere a Schiller, poi a Verdi. Se Spagna piange, Danimarca non ride.
In Shakespeare “c’ è del marcio in Danimarca”, con fantasmi paterni in giro per gli spalti di Elsinore, con Amleto “pallido prence” che uccide, sotto le vesti dello zio traditore e omicida, ma soprattutto copulatore con mammà Gertrude, proprio la parte “cattiva” di quel padre così amato e così invidiato.
Il dottor Freud, intanto, gongola e inanella un complesso dopo l’altro. Ah, questa crisi fra padri e figli! Pochi complessi e pochi arzigogoli psicologici nel Padri e figli di Turgenev (1863), romanzo dove la satira anti-borghese raggiunge vertici di nichilismo spinto, con padri che mettono incinte serve della gleba, duelli fra ex amici, morti per la peste, religione antica della Madre Russia e mode occidentali. Nella commedia Pane altrui, sempre Turgenev (1862), un padre si vendica: il vecchio spiantato Kuzovkin (ospite tollerato) offeso e irriso dai nobili di casa, rivela di essere lui il vero padre della “padroncina”, ergendosi alto sulle miserie. Spettacolo, virtù dell’età, che il sottoscritto ha visto con un superbo Salvo Randone, al Piccinni nell’anno ’83 del
secolo scorso. Per restare sul meridiano della Santa Russia, dove “ogni famiglia infelice lo è a modo suo” (Tolstoj, Anna Karenina), che dire di padre e figli con loro conflitti cruenti fino all’omicidio ne I fratelli Karamazov (1879) del supremo Dostoevskij?
Che poi, ci sono anche genitori che accoppano i figli, in chiave mitico-simbolica o addirittura “in corpore vili”! Vedi i già citati Filippo e Don Carlo. O vedi, eclatante caso, la Medea da Euripide in poi, lungo Seneca, Corneille, Anouhil, Alvaro, ecc., che uccide secolo dopo secolo i suoi figli, pur se in “giusta” vendetta verso quel traditore di Giasone. E la fa anche franca, come da mito, fuggendo in alto sul carro del sole. Lassù in alto, sull’Olimpo da cui emanano tanti nostri sogni, fantasie, incubi e orrori squisiti. Un Olimpo dei miti, dove Saturno divora i suoi nati (vedi il dipinto terribile di Goya) finché Zeus lo fa fuori, facendogli vomitare gli ingurgitati pargoli. Un Olimpo dove prima Saturno aveva evirato il padre Urano, gettando i genitali recisi in mare, presso Cipro. Ma ne nacque poi Venere, in bellezza e fecondità... nonostante tutto.