ESCLUSIVO/Un pentito racconta la storia della faida Garganica

«Io ho quattro figli, tre li ho avuti dal matrimonio con Pietro Tarantino e il quarto dalla convivenza con Matteo Ciavarrella. Ho deciso di collaborare con la Giustizia il 24 marzo del 2004 perchè non volevo che i miei figli crescessero in quel modo, in quel mondo, che diventassero dei boss, che diventassero come i rispettivi padri. Essendo stata la moglie di un Tarantino e la convivente di un Ciavarrella non è stato facile prendere questa decisione come moglie, come madre, come donna. Adesso nella località segreta dove vivo con i mei 4 bambini stiamo bene, perchè viviamo una vita normale, nessuno regala più loro qualcosa soltanto per tenersi buono il padre...». Rosa Lidia Di Fiore, 34 anni di Cagnano Varano, pentita e imputata nel maxi-processo alla mafia garganica in corte d'assise, in videoconferenza risponde per tre ore alle domande del pm della Dda Francesco Giannella (in aula nonostante la febbre) e ricostruisce dal suo punto di vista la faida di San Nicandro tra i Tarantino e i Ciavarrella, con 16 morti ammazzati dall'81 ad oggi.

Parla del suo ex convivente Matteo Ciavarrella (condannato all'ergastolo nel processo-gemello abbreviato), di una mezza dozzina di omicidi che l'ex compagno avrebbe compiuto in anno; del presunto coinvolgimento in un paio di questi omicidi di Gennaro Giovanditto (lei lo chiama Giovanditi), l'allevatore sannicandrese imputato di 13 omicidi, mafia e droga nel maxi-processo in corso. Un interrogatorio pieno di lunghe pause, molti «non ricordo», risposte talvolta vaghe e che proseguirà in una prossima udienza. Gli avv. Francesco Santangelo, Giulio Treggiari e Nicola Cristofaro, legali di Giovanditto, sostengono che la donna parla «de relato», limitandosi a riferire ciò che le avrebbe confidato Matteo Ciavarrella; e che più che dare informazioni quando venne interrogata nel marzo 2004 dalla Dda, confermava ciò che il pm le chiedeva con domande del tipo «tizio ha ucciso caio?» e lei diceva «sì».

«Quella cosa tra i Tarantino e i Ciavarrella iniziò tanti anni fa» (nell'81, ndr) «quando Giuseppe Tarantino, fratello di mio marito Pietro, uccise cinque persone dei Ciavarrella tra cui una bambina. Col passare degli annon non c'era quell'odio, quella voglia di vendetta che ci poteva essere all'inizio. Le acque si erano calmate tant'è che Matteo Ciavarrella era amico di mio marito Pietro Tarantino. Poi Antonio Ciavarrella, padre di Matteo, fu ucciso» (il 28 novembre 2002, ndr) «e fu Giovanditto a far credere a Matteo che la morte del padre fosse opera dei Tarantino per la storia che c'era tra me e lui. Io glielo dissi a Matteo che i Tarantino non c'entravano niente e di di non fidarsi di Giovanditto perchè non aveva in mente cose buone. Dopo qualche tempo Matteo ha capito che avevo ragione, che i Tarantino non avevano fatto niente e che a organizzare tutto era stato proprio Giovanditto: ma nel frattempo Matteo aveva ammazzato tutti i Tarantino... Il padre di Matteo, Antonio Ciavarrella, era molto temuto e rispettato e quando fu ucciso tutto cambiò nella vita del figlio Matteo: iniziò a pensare che la morte del padre fosse stata opera dei Tarantino a causa della nostra relazione, invece non era vero. Giovanditto voleva togliere al padre di Matteo le estorsioni sugli appalti e quando gli fu ucciso il padre, di questo affare Matteo non si occupò».

Come viveva la moglie di un Tarantino che si era messa con un Ciavarrella? «Matteo Ciavarrella mi picchiava, mi teneva chiusa in casa, mi toglieva i documenti, una volta che volevo andar via mi puntò una pistola. Per lui aver fatto un figlio con me era uno sfregio ai Tarantino».
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