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29 Dicembre 2016
«La Madonna col burqa» ha scatenato la bufera a Potenza
di Giovanni Rivelli
POTENZA - Dopo 150 anni di resistenza da quando la Regina Margherita, a metà ‘800, segnò l’avvio dell’offensiva anglosassone dell’albero addobbato, a Potenza si apre un «fronte islamico» del Presepe. C’è una Madonna «velata» che resiste il classico Natale e Santo Stefano nella rappresentazione della Natività di una parrocchia (quella di Sant’Anna e San Gioacchino) per poi essere cacciata e far posto a una rappresentazione filippina, ma ispirata ai più classici canoni europei.
La Madonna di prima, invece, quella no. Quel presepe di fattura tunisina, parte della collezione di 200 presepi del mondo custoditi nella parrocchia, aveva una Maria col velo sul capo e con una mano che lo serrava davanti alla bocca (ma lasciando visibili viso e naso). Insomma, non il velo delle tradizionali raffigurazioni, ma quasi un burqa. E poi quel Giuseppe con la carnagione olivastra e i baffi troppo lunghi per non destare almeno qualche sospetto ai «check point» antiterrorismo.
E proprio «la Madonna col burqa» ha gridato qualcuno e si è scatenata la bufera: prese di posizione, scioperi della messa, interventi di parlamentari, manifestazioni con tanto di donna col burqa (quello vero) a denunciare l’atto «sacrilego» non tanto verso i valori religiosi, quanto verso quelli culturali. E così, nei vari commenti, abbiamo scoperto la pericolosità di quel velo, capace di minare le nostre origini, la nostra identità, addirittura la nostra ragion d’essere, consegnandoci quasi in catene alla sudditanza al califfo.
Una pericolosità insospettabile. Al punto che chi, cresciuto in una terra interna come la Basilicata, è nel mezzo del cammin della vita, solo ora si sarà reso conto della pericolosità di quel «fazzoletto» che, da bambino, vedeva anche in testa alla madre e che nei giorni più freddi veniva stretto sulla bocca in cerca di tepore. Ma quel «fazzoletto» delle nostre mamme era diverso: italianissimo e quindi cristiano.
Quest’anno, invece, la piccola parrocchia potentina aveva scoperto l’attualità dei temi del mondo arabo. E siccome un’iniziativa di solidarietà, qualche vestito o qualche giocattolo per qualche bambino giunto qui dopo essere scappato dalla guerra erano sicuramente più utili ma meno significativi ha preferito dare lo «sfratto» al bambinello bianco (nonostante le origini) utilizzato negli anni passati e posizionare al suo posto quella famigliola immigrata che ha attirato le ire di tanti.
E ora la stessa sorte di sfrattata è toccata alla Madonna velata, col parroco che ha collocato nel presepe una famigliola dal molto più rassicurante passaporto filippino. Si sa, i filippini sono così cari e pacati, pronti a prendersi cura delle nostre case e dei nostri anziani, a ringraziarci per un abito dismesso o una grotta e poi cristianissimi, proprio come noi.
Oddio, non proprio come noi. Perché noi siamo ormai tanto annoiati da badare più alla forma che alla sostanza, da utilizzare il presepe e lo stesso Gesù Bambino per ammantarci di profondità sociologica, da accapigliarci per un velo non sufficientemente aperto, pronti a ignorare comunque quel presepe tornato «classico» e cristiano. E forse l’Islam radicale ha un alleato più in questo atteggiamento che in un velo.
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