Gastronomia e tradizioni A Bari «N-derr a la lanze» sua maestà «u pulpe rizze»
di GIGI DE SANTIS
Sua maestà «u pulpe rizze»: poesia del palato e voluttà del gusto. Sabato scorso su RaiDue la rubrica «Dossier Tg 2» intitolata «Le strade del cibo». Fra alcune regioni è stata inserita anche la Puglia ed è stato scelto «N-dèrr’a la lanze» (in terra la lancia, luogo caratteristico marinaro per la vendita dei pesci e frutti di mare sul Lungomare di Bari). Nel servizio è stato intervistato Felice Giovine, presidente dell’«Accademia della Lingua Barese Alfredo Giovine»» che ha decantato la specialità gastronomica barese «u pulpe rizze» (come viene catturato, trattato, venduto, mangiato crudo sul posto o prima di finire sulla tavola).
E anche da un interessante articolo pubblicato sulla «Gazzetta » il 4 settembre 1982, a firma di don Alfredo Giovine, riscopriamo un autentico «gioiello culinario» della nostra oreficeria marina.
«U pulpe rizze» è un ghiotto boccone che i baresi si sono tramandati nei secoli. Non si esagera se ancora oggi «le pulpe rizze» baresi sono unici al mondo. Boccone prelibato degli Dei. Un culto primitivo di sapore pagano inconsciamente tramandato nei secoli da quando il barese, agli albori della vita, a tu per tu con il mistero del selvaggio mondo naturale doveva attingere ai frutti spontanei della terra per la sua sopravvivenza. L’istinto di dominio lo portò ad avventurarsi in mare per scoprire altre fonti di nutrimento e di ricchezza. Pescò immergendosi lungo le rive. Se molti pesci gli sfuggivano con fulminei guizzi, il polpo fu più facile ghermirlo con mani predatrici, dargli un morso e sbatterlo violentemente sugli scogli per tramortirlo. Quando lo addentò per alimentarsi gli sembrò una tenera mandorla fresca, «u mandurlìcchie», straordinariamente squisito. Via via affinò la sua tecnica, sfregandolo sugli scogli in un viluppo schiumoso. Poi nelle mani a coppa lo scosse dolcemente, quasi rendendolo simile a una parrucca del Settecento con lunghi riccioli inanellati e tremolanti.
Non pochi hanno tentato di magnificarlo in una delle multiformi sfaccettature della fisionomia caleidoscopica tipica barese. Se per il milanese il panettone è un indiscutibile riferimento caratteristico, per il modenese è lo zampone e per il napoletano la pizza, per il barese è sua maestà «u pulpe rizze», gioiello della ricchissima fauna marina del nostro litorale. Dai nostri «pulparùle» (pescatori e venditori di polpi) altri pescatori rivieraschi hanno adottato la tecnica barese che rende più pregiata e remunerativa, la cattura dei polpi. Per il «patito» «du ccrute» (del crudo), il piacere gastronomico «du pulpe rizze» è poesia del palato e voluttà del gusto. «U pulpe de scòglie» - polpo di scoglio - (detto anche «pulpe de pète» - polpo di pietra) è la più nobile varietà dei molluschi cefalopodi. Nel gotha della «stirpe» «u pulpe de pète» è il più titolato. È quello che si dovrebbe dire di «sangue blu».
A volerlo giudicare «il più blasonato» non si sbaglia. Ha corpo raccolto solcato da rughe con testa ovale a sacco, calva e oblunga. I suoi tentacoli si muovono lenti strisciando sul fondo marino, guatando intorno a sé con occhi apparentemente caterattosi. La presa è tenace e la preda non ha scampo. Le ventose l’avvinghiano in un abbraccio inesorabile di morte. È impossibile stanarlo dal suo anfratto con le mani o con altro ausilio che non siano mezzi fraudolenti, vili come il velenoso acido fenico o il solfato di rame, ai quali non resiste, abbandonando il suo abitacolo ed esponendosi a facile cattura. In altri casi il suo colore grigio oscuro lo aiuta a mimetizzarsi sul fondo marino fra erbe, massi, alghe e sassi. Il suo peso può raggiungere i 5-10 chili.
Anche se arricciato per essere più facilmente commestibile, deve essere sottoposto all’azione del fuoco che riserva mille modi diversi per squisite soluzioni. Il polpo di scoglio deve pesare poco. Meno pesa più è pregiato e squisito. Generalmente oggi viene pescato poco lontano dalla riva a colpi di fiocina, paralizzandolo conil potente fascio luminoso della «lampara» o quando c’è la luce del sole e mare calmo. Quel sole di maggio che intiepidisce l’aria e invita il barese all’immancabile visita «n-dèrr’a la lanze» dove l’occhio si appaga di tante sensazioni. E qui «u pulparùle» inizia all’aperto il suo non breve rituale per arricciatura sotto gli occhi di numerosi «patiti», curiosi e acquirenti. È uno spettacolo primitivo degno di essere vissuto da chi ne sente tutto il rude fascino.
(La notizia completa sull'edizione della Gazzetta in edicola o scaricabile qui)
Sua maestà «u pulpe rizze»: poesia del palato e voluttà del gusto. Sabato scorso su RaiDue la rubrica «Dossier Tg 2» intitolata «Le strade del cibo». Fra alcune regioni è stata inserita anche la Puglia ed è stato scelto «N-dèrr’a la lanze» (in terra la lancia, luogo caratteristico marinaro per la vendita dei pesci e frutti di mare sul Lungomare di Bari). Nel servizio è stato intervistato Felice Giovine, presidente dell’«Accademia della Lingua Barese Alfredo Giovine»» che ha decantato la specialità gastronomica barese «u pulpe rizze» (come viene catturato, trattato, venduto, mangiato crudo sul posto o prima di finire sulla tavola).
E anche da un interessante articolo pubblicato sulla «Gazzetta » il 4 settembre 1982, a firma di don Alfredo Giovine, riscopriamo un autentico «gioiello culinario» della nostra oreficeria marina.
«U pulpe rizze» è un ghiotto boccone che i baresi si sono tramandati nei secoli. Non si esagera se ancora oggi «le pulpe rizze» baresi sono unici al mondo. Boccone prelibato degli Dei. Un culto primitivo di sapore pagano inconsciamente tramandato nei secoli da quando il barese, agli albori della vita, a tu per tu con il mistero del selvaggio mondo naturale doveva attingere ai frutti spontanei della terra per la sua sopravvivenza. L’istinto di dominio lo portò ad avventurarsi in mare per scoprire altre fonti di nutrimento e di ricchezza. Pescò immergendosi lungo le rive. Se molti pesci gli sfuggivano con fulminei guizzi, il polpo fu più facile ghermirlo con mani predatrici, dargli un morso e sbatterlo violentemente sugli scogli per tramortirlo. Quando lo addentò per alimentarsi gli sembrò una tenera mandorla fresca, «u mandurlìcchie», straordinariamente squisito. Via via affinò la sua tecnica, sfregandolo sugli scogli in un viluppo schiumoso. Poi nelle mani a coppa lo scosse dolcemente, quasi rendendolo simile a una parrucca del Settecento con lunghi riccioli inanellati e tremolanti.
Non pochi hanno tentato di magnificarlo in una delle multiformi sfaccettature della fisionomia caleidoscopica tipica barese. Se per il milanese il panettone è un indiscutibile riferimento caratteristico, per il modenese è lo zampone e per il napoletano la pizza, per il barese è sua maestà «u pulpe rizze», gioiello della ricchissima fauna marina del nostro litorale. Dai nostri «pulparùle» (pescatori e venditori di polpi) altri pescatori rivieraschi hanno adottato la tecnica barese che rende più pregiata e remunerativa, la cattura dei polpi. Per il «patito» «du ccrute» (del crudo), il piacere gastronomico «du pulpe rizze» è poesia del palato e voluttà del gusto. «U pulpe de scòglie» - polpo di scoglio - (detto anche «pulpe de pète» - polpo di pietra) è la più nobile varietà dei molluschi cefalopodi. Nel gotha della «stirpe» «u pulpe de pète» è il più titolato. È quello che si dovrebbe dire di «sangue blu».
A volerlo giudicare «il più blasonato» non si sbaglia. Ha corpo raccolto solcato da rughe con testa ovale a sacco, calva e oblunga. I suoi tentacoli si muovono lenti strisciando sul fondo marino, guatando intorno a sé con occhi apparentemente caterattosi. La presa è tenace e la preda non ha scampo. Le ventose l’avvinghiano in un abbraccio inesorabile di morte. È impossibile stanarlo dal suo anfratto con le mani o con altro ausilio che non siano mezzi fraudolenti, vili come il velenoso acido fenico o il solfato di rame, ai quali non resiste, abbandonando il suo abitacolo ed esponendosi a facile cattura. In altri casi il suo colore grigio oscuro lo aiuta a mimetizzarsi sul fondo marino fra erbe, massi, alghe e sassi. Il suo peso può raggiungere i 5-10 chili.
Anche se arricciato per essere più facilmente commestibile, deve essere sottoposto all’azione del fuoco che riserva mille modi diversi per squisite soluzioni. Il polpo di scoglio deve pesare poco. Meno pesa più è pregiato e squisito. Generalmente oggi viene pescato poco lontano dalla riva a colpi di fiocina, paralizzandolo conil potente fascio luminoso della «lampara» o quando c’è la luce del sole e mare calmo. Quel sole di maggio che intiepidisce l’aria e invita il barese all’immancabile visita «n-dèrr’a la lanze» dove l’occhio si appaga di tante sensazioni. E qui «u pulparùle» inizia all’aperto il suo non breve rituale per arricciatura sotto gli occhi di numerosi «patiti», curiosi e acquirenti. È uno spettacolo primitivo degno di essere vissuto da chi ne sente tutto il rude fascino.
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