Foggia, niente più soldi anche per la ricerca chiude il centro Enea
di Massimo Levantaci
FOGGIA - Il polo di ricerca ha finito il suo mandato, dicono dall’Enea per dare il benservito alla stazione Delphos di monte Aquilone inaugurata nel 1986. All’epoca produrre energia da fonti rinnovabili era come immaginare l’uso dei telefonini o dei moderni tablet, centri pilota come quello aperto sulla statale 89 andrebbero salvaguardati alla stregua di un museo della scienza per il ruolo assunto nella ricerca in particolare sul fotovoltaico, conosciuto un tempo come «energia solare».
Ecco perchè dichiarare oggi «superata» la mission dell’area sperimentale nasconde forse una piccola ipocrisia, peraltro malcelata, sebbene le rinnovabili siano ormai ampiamente diffuse avendo conosciuto il boom anche in Italia. La stazione a circa venti chilometri da Manfredonia chiude, essenzialmente, per ragioni economiche: non ci sono più soldi da investire e sviluppare in quei settori della ricerca cresciuti così tanto da fare dell’Italia un paese modello che, grazie a una politica mirata sugli incentivi, ha puntato senza esitazioni su tecnologie moderne al punto da apparire ora persino un po’ invasive.
Nessuno esclude che da questi risultati tecnologici potrebbero derivarne di nuovi, le strade della scienza sono innanzitutto sentieri impervi sta all’uomo saperli esplorare. Dunque altro che mandato ormai scaduto! E’ questa, ad esempio, la ragione che potrebbe spingere il Comune di Manfredonia a rilevare l’impianto di monte Aquilone come spiega nell’intervista a fianco il sindaco Angelo Riccardi, ipotesi formulata pur con tutte le cautele del caso.
L’Enea come molte strutture di Stato (e non solo) deve stringere la cinghia in questi tempi malvagi di crisi e ristrettezze economiche, vengono annunciate riduzioni in bilancio da subito del 30% dunque non c’è più tempo da perdere. Ai dieci dipendenti della stazione dauna l’annuncio è stato fatto appena qualche giorno fa: «Entro il 30 aprile dovremo andarcene tutti», riferiva ieri mattina uno di loro con l’animo in subbuglio. Non sono, non dovrebbe trattarsi, di altri posti di lavoro a rischio dal momento che ai dieci lavoratori (2 amministrativi, 8 tecnici fra periti e ingegneri) viene assicurata la ricollocazione in altri centri di ricerca statali.La notizia completa sull'edizione della Gazzetta in edicola o scaricabile qui
FOGGIA - Il polo di ricerca ha finito il suo mandato, dicono dall’Enea per dare il benservito alla stazione Delphos di monte Aquilone inaugurata nel 1986. All’epoca produrre energia da fonti rinnovabili era come immaginare l’uso dei telefonini o dei moderni tablet, centri pilota come quello aperto sulla statale 89 andrebbero salvaguardati alla stregua di un museo della scienza per il ruolo assunto nella ricerca in particolare sul fotovoltaico, conosciuto un tempo come «energia solare».
Ecco perchè dichiarare oggi «superata» la mission dell’area sperimentale nasconde forse una piccola ipocrisia, peraltro malcelata, sebbene le rinnovabili siano ormai ampiamente diffuse avendo conosciuto il boom anche in Italia. La stazione a circa venti chilometri da Manfredonia chiude, essenzialmente, per ragioni economiche: non ci sono più soldi da investire e sviluppare in quei settori della ricerca cresciuti così tanto da fare dell’Italia un paese modello che, grazie a una politica mirata sugli incentivi, ha puntato senza esitazioni su tecnologie moderne al punto da apparire ora persino un po’ invasive.
Nessuno esclude che da questi risultati tecnologici potrebbero derivarne di nuovi, le strade della scienza sono innanzitutto sentieri impervi sta all’uomo saperli esplorare. Dunque altro che mandato ormai scaduto! E’ questa, ad esempio, la ragione che potrebbe spingere il Comune di Manfredonia a rilevare l’impianto di monte Aquilone come spiega nell’intervista a fianco il sindaco Angelo Riccardi, ipotesi formulata pur con tutte le cautele del caso.
L’Enea come molte strutture di Stato (e non solo) deve stringere la cinghia in questi tempi malvagi di crisi e ristrettezze economiche, vengono annunciate riduzioni in bilancio da subito del 30% dunque non c’è più tempo da perdere. Ai dieci dipendenti della stazione dauna l’annuncio è stato fatto appena qualche giorno fa: «Entro il 30 aprile dovremo andarcene tutti», riferiva ieri mattina uno di loro con l’animo in subbuglio. Non sono, non dovrebbe trattarsi, di altri posti di lavoro a rischio dal momento che ai dieci lavoratori (2 amministrativi, 8 tecnici fra periti e ingegneri) viene assicurata la ricollocazione in altri centri di ricerca statali.La notizia completa sull'edizione della Gazzetta in edicola o scaricabile qui