Clima: il protocollo di Kyoto compie un anno, ma Usa e Australia lo boicottano
ROMA - Buon compleanno Protocollo di Kyoto. Il 16 febbraio il Trattato salva-clima compie infatti un anno di vita. L'obiettivo per i 141 Paesi che l'hanno sottoscritto è quello di fermare la febbre del Pianeta, con la riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e degli altri gas serra del 5,2% rispetto al 1990, entro il 2012.
Entrato in vigore a inizio 2005, grazie alla tanto attesa ratifica della Russia, l'accordo è diventato pienamente operativo nel dicembre dell'anno scorso, quando i Paesi aderenti all'accordo, fra cui Italia (dal 2002), Ue e Giappone, si sono riuniti a Montreal e hanno dato il via libera ai meccanismi di azione previsti dal Protocollo.
Le strade indicate dall'accordo di Kyoto sono diverse: accanto alle misure nazionali, prevede che l'obiettivo della riduzione delle emissioni possa essere raggiunto tramite la realizzazione di progetti comuni tra i Paesi più industrializzati (Joiunt implementation) o con Paesi in via di sviluppo, impiegando tecnologie più efficienti ed energie rinnovabili, ma anche attraverso il commercio internazionale dei permessi di emissione, la cosiddetta «borsa dei fumi» (Emissions Trading).
Tutto è cominciato a Berlino nel '95, con la Prima Conferenza delle Parti firmatarie della Convenzione sui Cambiamenti Climatici. Nella città tedesca viene affidato ad un Gruppo ad hoc il compito di predisporre un protocollo che avrebbe dovuto concludere il suo mandato e produrre una piattaforma per un negoziato entro la Terza conferenza di Kyoto. Priorità degli esperti al lavoro, le misure normative e operative per ridurre le emissioni di CO2 e degli altri gas serra, standard di efficienza energetica, indicazioni per la joint implementation, la possibilità di avviare la collaborazione tra due o più Paesi per centrare l'obiettivo del contenimento delle emissioni, attraverso il trasferimento di tecnologie e know-how.
La città giapponese nel 1997 vede la nascita dell'accordo, ma anche grandi assenti, primi fra tutti gli Usa.
Nel luglio del 2005 sono gli americani a stipulare un altro patto (Partnership dell'Asia-Pacifico per lo sviluppo pulito ed il clima) insieme a Cina, Australia, India, Corea del Sud e Giappone, subito ribattezzato «l'anti-Kyoto». I cinque Paesi, che producono il 40% dei gas serra responsabili del riscaldamento del Pianeta, scelgono un'altra strategia, sicuramente meno penalizzante per l'economia: contenere i fumi tramite l'uso di nuove tecnologie come la gassificazione del carbone e la cattura e la conservazione dell'anidride carbonica, utilizzando fonti rinnovabili, oppure producendo maggiore energia con una riduzione di emissioni. Far entrare questi Paesi in un nuovo protocollo globale è ormai la sfida di oggi, quella del post Kyoto, dopo il 2012.
Secondo il «Business As Usual Scenario» del World Energy Outlook 2005, dell'Agenzia Internazionale dell'Energia, il consumo mondiale di energia crescerà tra il 2004 e il 2030 di circa il 55%, determinando un aumento delle emissioni globali di Co2 per almeno il 60% rispetto ai livelli attuali. A fare la parte del leone le economie emergenti (Cina, India, Brasile, Indonesia, Sud Africa), che contribuiranno ai due terzi dell' aumento dei consumi e delle relative emissioni.