La crisi dell'Ilva finisce sulle pagine del «New York Times»
di MARCELLO COMETTI
TARANTO - “Help for a Troubled Steel Plant in Italy”, ovvero: un aiuto per uno stabilimento siderurgico italiano in difficoltà. La crisi dell’Ilva varca l’Oceano e approda sulle colonne del New York Times. Nel giro di pochi giorni il quotidiano statunitense ha dedicato due ampi servizi al caso-Ilva, entrambi ad opera di Rachel Donadio, una delle firme di punta del settore Esteri, profonda conoscitrice delle italiche cose, visto che fino al 2008 è stata a capo dell’ufficio di Roma del NYT, responsabile per l’Italia, il Vaticano e l’area sud del Mediterraneo. Il New York Times è uno dei più importanti e autorevoli quotidiani al mondo, fu fondato nel 1851 e oggi vanta una diffusione media è di 1.000.665 copie giornaliere nella sua edizione cartacea. Sul web i visitatori unici del sito ufficiale sono 31 milioni al mese per 250 milioni di accessi e 1,1 miliardi di pagine visualizzate.
“Il Governo italiano – scrive Rachel Donadio nell’edizione del 2 dicembre - ha approvato una misura di emergenza per consentire all'acciaieria Ilva nella città di Taranto, Italia meridionale, di continuare le proprie attività, a condizione che l'azienda investa circa 3,9 miliardi dollari per modernizzare l'impianto e rispondere alle norme ambientali. Il caso, che vede in campo notevoli preoccupazioni per la salute ma anche per e la necessità di tutelare i 20.000 posti di lavoro nell'industria pesante, ha messo alla prova il governo del primo ministro Mario Monti, il quale ha stimato che l'economia avrebbe subito perdite di 10,4 miliardi dollari l'anno se l'impianto fosse stato chiuso. Mr. Monti, in particolare, ha detto che il governo aveva bisogno di salvaguardare sia la salute pubblica sia i posti di lavoro a condizione che la fabbrica si adegui alle norme. Alcuni studi recenti hanno stabilito che i tassi di cancro nei paraggi dell’ acciaieria, che è la più grande d'Europa, sono significativamente più alti che nel resto d'Italia. Ora un controllore indipendente supervisionerà il piano dell’Ilva per migliorare la sua tecnologia a tutela dell’ambiente”.
Anche il 28 novembre, il New York Times, sempre con un servizio a firma della Donadio, aveva fornito un resoconto puntuale e preoccupato del “martedì nero” dello stabilimento siderurgico tarantino, con l’occupazione degli uffici e di parte della fabbrica dopo i drammatici annunci di chiusura ad opera dell’azienda. “Thousands of workers stormed the locked gates of Europe’s largest steel plant”, scrive la giornalista. “Migliaia di lavoratori hanno preso d’assalto i cancelli sbarrati della più grande fabbrica siderurgica d’Europa”. I toni del servizio giornalistico sono allarmati, sintomo evidente di come anche oltreoceano una “crisi nazionale” dell’acciaio italiano venga vista come un’ipotesi preoccupante, probabilmente nel timore che il collasso di uno stabilimento di tali dimensioni possa aprire in prospettiva le porte agli acciai prodotti in nazioni non propriamente “amiche” degli Usa (Cina o Russia, per esempio…). La giornalista evidenzia come “nel 2011 l’Ilva ha prodotto 8,5 milioni di tonnellate di acciaio, il 30% dell’intera produzione in Italia, e gli esperti hanno avvertito che la chiusura dell'impianto avrebbe un effetto a catena in tutta l'industria italiana”.
“If it closed, it would have roughly the same impact on employment and the Italian economy as if Fiat closed”. Ovvero: se l’Ilva chiudesse, avrebbe più o meno lo stesso impatto sullo sviluppo e sull’economia italiana che se chiudesse la Fiat. A parlare è il giornalista del Sole24Ore Gianni Dragoni, autore anche di un libro sull’Ilva, che la giornalista del NYT intervista. Scrive la Donadei: “Gli analisti hanno osservato che la società madre di Ilva, il Gruppo Riva, ha perso un po ' del sostegno politico che aveva durante il governo del primo ministro Silvio Berlusconi, quando Riva è stato uno dei maggiori investitori in un accordo per comprare la compagnia aerea di bandiera in difficoltà, Alitalia. Oggi, "è una prova di forza tra l'azienda e i magistrati", ha detto Dragoni. Anziché investire per rendere le infrastrutture dell’impianto più ecologicamente compatibili, il messaggio sembra essere: “O inquino o chiudo”. Brutale, in puro stile yankees, ma efficace…
TARANTO - “Help for a Troubled Steel Plant in Italy”, ovvero: un aiuto per uno stabilimento siderurgico italiano in difficoltà. La crisi dell’Ilva varca l’Oceano e approda sulle colonne del New York Times. Nel giro di pochi giorni il quotidiano statunitense ha dedicato due ampi servizi al caso-Ilva, entrambi ad opera di Rachel Donadio, una delle firme di punta del settore Esteri, profonda conoscitrice delle italiche cose, visto che fino al 2008 è stata a capo dell’ufficio di Roma del NYT, responsabile per l’Italia, il Vaticano e l’area sud del Mediterraneo. Il New York Times è uno dei più importanti e autorevoli quotidiani al mondo, fu fondato nel 1851 e oggi vanta una diffusione media è di 1.000.665 copie giornaliere nella sua edizione cartacea. Sul web i visitatori unici del sito ufficiale sono 31 milioni al mese per 250 milioni di accessi e 1,1 miliardi di pagine visualizzate.
“Il Governo italiano – scrive Rachel Donadio nell’edizione del 2 dicembre - ha approvato una misura di emergenza per consentire all'acciaieria Ilva nella città di Taranto, Italia meridionale, di continuare le proprie attività, a condizione che l'azienda investa circa 3,9 miliardi dollari per modernizzare l'impianto e rispondere alle norme ambientali. Il caso, che vede in campo notevoli preoccupazioni per la salute ma anche per e la necessità di tutelare i 20.000 posti di lavoro nell'industria pesante, ha messo alla prova il governo del primo ministro Mario Monti, il quale ha stimato che l'economia avrebbe subito perdite di 10,4 miliardi dollari l'anno se l'impianto fosse stato chiuso. Mr. Monti, in particolare, ha detto che il governo aveva bisogno di salvaguardare sia la salute pubblica sia i posti di lavoro a condizione che la fabbrica si adegui alle norme. Alcuni studi recenti hanno stabilito che i tassi di cancro nei paraggi dell’ acciaieria, che è la più grande d'Europa, sono significativamente più alti che nel resto d'Italia. Ora un controllore indipendente supervisionerà il piano dell’Ilva per migliorare la sua tecnologia a tutela dell’ambiente”.
Anche il 28 novembre, il New York Times, sempre con un servizio a firma della Donadio, aveva fornito un resoconto puntuale e preoccupato del “martedì nero” dello stabilimento siderurgico tarantino, con l’occupazione degli uffici e di parte della fabbrica dopo i drammatici annunci di chiusura ad opera dell’azienda. “Thousands of workers stormed the locked gates of Europe’s largest steel plant”, scrive la giornalista. “Migliaia di lavoratori hanno preso d’assalto i cancelli sbarrati della più grande fabbrica siderurgica d’Europa”. I toni del servizio giornalistico sono allarmati, sintomo evidente di come anche oltreoceano una “crisi nazionale” dell’acciaio italiano venga vista come un’ipotesi preoccupante, probabilmente nel timore che il collasso di uno stabilimento di tali dimensioni possa aprire in prospettiva le porte agli acciai prodotti in nazioni non propriamente “amiche” degli Usa (Cina o Russia, per esempio…). La giornalista evidenzia come “nel 2011 l’Ilva ha prodotto 8,5 milioni di tonnellate di acciaio, il 30% dell’intera produzione in Italia, e gli esperti hanno avvertito che la chiusura dell'impianto avrebbe un effetto a catena in tutta l'industria italiana”.
“If it closed, it would have roughly the same impact on employment and the Italian economy as if Fiat closed”. Ovvero: se l’Ilva chiudesse, avrebbe più o meno lo stesso impatto sullo sviluppo e sull’economia italiana che se chiudesse la Fiat. A parlare è il giornalista del Sole24Ore Gianni Dragoni, autore anche di un libro sull’Ilva, che la giornalista del NYT intervista. Scrive la Donadei: “Gli analisti hanno osservato che la società madre di Ilva, il Gruppo Riva, ha perso un po ' del sostegno politico che aveva durante il governo del primo ministro Silvio Berlusconi, quando Riva è stato uno dei maggiori investitori in un accordo per comprare la compagnia aerea di bandiera in difficoltà, Alitalia. Oggi, "è una prova di forza tra l'azienda e i magistrati", ha detto Dragoni. Anziché investire per rendere le infrastrutture dell’impianto più ecologicamente compatibili, il messaggio sembra essere: “O inquino o chiudo”. Brutale, in puro stile yankees, ma efficace…