A Barletta la protesta dei piccoli imprenditori tessili: «Siamo stremati»

di GIUSEPPE DIMICCOLI

BARLETTA - Il nome lo hanno deciso nel pomeriggio: «Associazione fasonisti terzisti insorgenti Barletta». E non è poco tenuto conto che «almeno così potremo farci sentire in maniera unitaria e compatta», ha riferito in mattinata sotto palazzo di città Raffaele Dipalma e Luigi Bufo. «Scintilla» della protesta, a detta dei manifestanti, «l’inasprimento dei controlli contro il lavoro nero a seguito della tragedia di via Roma». Tuttavia è bene precisare che fonti ben informate della Guardia di Finanza fanno sapere che negli ultimi giorni a fronte di 21 lavoratori controllati 18 erano non in regola. La protesta messa in atto nella mattina di ieri sotto palazzo di città da parte di una cinquantina di «operatori del tessile» dovrà servire a «far capire che il nostro comparto è in crisi assoluta e per noi è del tutto impossibile poter andare avanti con queste condizioni economiche e di mercato». 

A Palazzo di città la delegazione è stata ricevuta dagli assessori Massimo Mazzarisi e Michele Maffione. Quello che lamentano gli imprenditori è la concorrenza sleale «da parte dei cinesi, di barlettani che lavorano nei cantinati completamente a nero, di chi ci paga con sette mesi di ritardo e di quattro o cinque aziende cittadine molto grandi che vediamo in televisione che ci costringono a vivere questa situazione di forte disagio». 
In serata la delegazione dei tessili si è raduna nei pressi della chiesa di sant’Antonio dove era incorso la assemblea nazionale della Flctem Cgil (il sindacato di categoria del tessile-abbigliamento- calzaturiero). Donato Daleno e Angelo Salvemini, anche a nome dei loro colleghi, non hanno dubbi: «Non possiamo essere la ruota di scorta del settore tessile. Fino a dieci anni fa eravamo una parte importante del comparto tuttavia oggi a malapena riusciamo a sopravvivere». Poi ragionando in merito alla modalità del lavoro nero e dei controlli hanno precisato: «Noi capiamo che i controlli per legge vanno effettuati perchè la normativa in materia dice questo tuttavia auspicheremmo che ci fosse dialogo e una sorta di comprensione nei nostri confronti, sempre nel rispetto della Legge, al fine di comprendere le nostre difficoltà». Poi, l’analisi dei costi: «Una maglia ci costa 1.80 euro e se ne devo produrre 1000 ho bisogno di minimo 15 operai al giorno che mi costano almeno 115 euro individualmente. È chiaro che con questi numeri non possiamo andare avanti. Così ci rimettiamo e dobbiamo chiudere. È complicato assumere anche perchè alcune donne chiedono di lavorare in nero altrimenti pagherebbero alte tasse». 

Ma non è tutto ci sono precise accuse nei confronti della «concorrenza sleale dei cinesi presenti in loco e delle grandi aziende del territorio»: «I cinesi che stanno a Barletta – ha detto Salvemini – sono centinaia a lavorare in nero, dicono che li hanno controllati, ma se vanno al mattino trovano 10 persone a lavorare, regolarmente assunte e per otto ore, invece è la sera che iniziano a lavorare in nero e sono molto più di 10 persone».
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