Arte in Puglia, Pina Belli DElia nel cantiere della conoscenza
di GIACOMO ANNIBALDIS
I «maestri comacini» erano quegli architetti, artigiani, scultori alla cui corporazione si attribuivano anche le nostre grandi cattedrali pugliesi. Lo sostenevano i manuali di storia dell’arte di alcuni decenni fa: e noi ragazzi li avevamo immaginati - questi nordici comaschi - discesi a insegnare alle maestranze del Sud l’arte di costruire gli edifici romanici, le grandi chiese che costituiscono l’orgoglio culturale della nostra regione. Poi abbiamo sospettato - come sostenne per tempo Ugo Monneret de Villard - che il termine «comacini» indicasse, più che l’origine geografica, una corruzione di «cum machinis» o «cum macinis». Chi tuttavia nella mia giovane mente debellò del tutto l’idea - un po’ «nordista» - che il «romanico» pugliese fosse da accreditare a maestranze venute dalla Lombardia è stata una storica dell’arte, ella sì discesa in Puglia dalla Lombardia: Pina Belli D’Elia.
Negli anni Sessanta la studiosa era «emigrata» al Sud, e convolando a nozze con Michele D’Elia aveva sposato, senza riserve, anche la Puglia: con il suo patrimonio di arte e cultura, della cui conoscenza e della cui tutela si è fatta corifea appassionata e profonda fin dai primi anni Sessanta, allorché - insieme all’infaticabile Michele - organizzò la fondamentale mostra sull’«Arte in Puglia dal Tardoantico al Rococo». Una rassegna che segnò la presa di coscienza di una Puglia ricca di arte non sempre minore, anzi spesso pregevole, meritevole di essere studiata ulteriormente. Imperativo al quale si è obbedito in questi ultimi cinquant’anni. La passione - e la fermezza - di Pina Belli nel rivalutare e nel far conoscere e amare la nostra cultura è sempre stata riconosciuta. Ed ora viene ribadita dal volume Tempi e forme dell’arte curato da Luisa Derosa e Clara Gelao, che è una «Miscellanea di studi offerti a Pina Belli D’Elia» (Claudio Grenzi ed.).
Plurimo è stato il fronte d’azione su cui la studiosa ha esplicato la sua attività: come insegnante di Storia dell’arte nei licei, come direttrice della Pinacoteca provinciale di Bari, e infine come docente di Storia dell’Arte medievale e moderna presso l’Università degli studi di Bari. E difatti il volume è un omaggio rivoltole dalla Provincia di Bari e anche dall’Università. Della Pinacoteca provinciale Pina Belli D’Elia è stata direttrice, dal 1974 al 1988 (ma la sua presenza - e influenza - si è esplicata ancor prima, dal 1967, e non ha mai cessato di farsi sentire anche dopo l’88). Sono stati anni determinanti per l’acquisizione dell’intrigante volto assunto dal museo, con un Dna «territoriale», che tuttavia ha portato la Pinacoteca barese a diventare una delle più belle, importanti e ricche collezioni d’arte del Mezzogiorno d’Italia.
Seguendo un indirizzo già indicato da Michele D’Elia (insuperabile organizzatore e difensore della cultura meridionale), si incrementarono gli acquisti e i depositi di opere intesi a tramare e illuminare meglio la storia dell’arte in Puglia dall’XI al XIX secolo. Naturalmente con un particolare riguardo al Medioevo e al Rinascimento. Insomma, l’intento era quello di proporre il «museo ideale» della Puglia, privilegiando opere di artisti pugliesi o di artisti che operarono nella nostra regione; ovvero che mandarono le loro tele per committenti pugliesi. Tra gli acquisti mirati - anche intervenendo sul mercato antiquariale - tele e sculture di grande interesse: come i due «modelletti» di Corrado Giaquinto, grande pittore di Molfetta, che raffigurano «San Nicola che salva i naufraghi» e il tema iliadico di «Ulisse e Diomede nella tenda di Reso» (1976 e 1979). O come il materico «Annuncio dei pastori» dell’omonimo pittore (forse l’ispani - co Juan Do); o i modelletti di Luca Giordano (che se non nacque a Polignano a Mare, come sostennero alcuni studiosi, pure molto operò in Puglia) e di Cesare Fracanzano, pugliese di padre veneto. Sotto la sua direzione, la collezione della Pinacoateca si fece ancor più prestigiosa grazie alla donazione Luigi Grieco (collezionista di origine lucana), ricca di 50 notevoli dipinti tra Otto e Novecento, acquisita nel 1986.
Nel 1975 Pina Belli D’Elia organizzò la mostra «Alle sorgenti del Romanico. Puglia XI secolo», una pietra miliare per la conoscenza della nostra arte medievale. Fu il vero approccio a una identità artistica e culturale della Puglia medievale, che offrì al grande pubblico nuove conoscenze, fatte di opere e maestranze: da Acceptus a Nicolò de Apulia... Scaturì un volume La Puglia nella collezione della Jaca book «Italia Romanica» (riproposto nel 2003). Il Medioevo è stato l’interesse predominante di Pina Belli D’Elia: dagli studi sulla Basilica di San Nicola alla Cattedrale di Bari, dal Duomo di Acerenza a quello di Troia, ai mille contributi su edifici, opere scultoree, affreschi e insediamenti della civiltà rupestre. Un Medioevo sviscerato nei minimi dettagli: fino ai siti rurali. Ma non solo Medioevo. Il suo «cantiere della conoscenza» (espressione che le è cara) non ha conosciuto limiti, spaziando in ogni epoca e in ogni stile: dal Finoglio ai presepi napoletani, dalle icone alle vignette di Frate Menotti. Mostrandoci l’incarnazione appassionata di un modello di studioso che non zappa in un unico orticello, ma che possiede la rara capacità di comprendere - e far comprendere a noi - l’arte di ogni epoca. Con spirito di finezza.
I «maestri comacini» erano quegli architetti, artigiani, scultori alla cui corporazione si attribuivano anche le nostre grandi cattedrali pugliesi. Lo sostenevano i manuali di storia dell’arte di alcuni decenni fa: e noi ragazzi li avevamo immaginati - questi nordici comaschi - discesi a insegnare alle maestranze del Sud l’arte di costruire gli edifici romanici, le grandi chiese che costituiscono l’orgoglio culturale della nostra regione. Poi abbiamo sospettato - come sostenne per tempo Ugo Monneret de Villard - che il termine «comacini» indicasse, più che l’origine geografica, una corruzione di «cum machinis» o «cum macinis». Chi tuttavia nella mia giovane mente debellò del tutto l’idea - un po’ «nordista» - che il «romanico» pugliese fosse da accreditare a maestranze venute dalla Lombardia è stata una storica dell’arte, ella sì discesa in Puglia dalla Lombardia: Pina Belli D’Elia.
Negli anni Sessanta la studiosa era «emigrata» al Sud, e convolando a nozze con Michele D’Elia aveva sposato, senza riserve, anche la Puglia: con il suo patrimonio di arte e cultura, della cui conoscenza e della cui tutela si è fatta corifea appassionata e profonda fin dai primi anni Sessanta, allorché - insieme all’infaticabile Michele - organizzò la fondamentale mostra sull’«Arte in Puglia dal Tardoantico al Rococo». Una rassegna che segnò la presa di coscienza di una Puglia ricca di arte non sempre minore, anzi spesso pregevole, meritevole di essere studiata ulteriormente. Imperativo al quale si è obbedito in questi ultimi cinquant’anni. La passione - e la fermezza - di Pina Belli nel rivalutare e nel far conoscere e amare la nostra cultura è sempre stata riconosciuta. Ed ora viene ribadita dal volume Tempi e forme dell’arte curato da Luisa Derosa e Clara Gelao, che è una «Miscellanea di studi offerti a Pina Belli D’Elia» (Claudio Grenzi ed.).
Plurimo è stato il fronte d’azione su cui la studiosa ha esplicato la sua attività: come insegnante di Storia dell’arte nei licei, come direttrice della Pinacoteca provinciale di Bari, e infine come docente di Storia dell’Arte medievale e moderna presso l’Università degli studi di Bari. E difatti il volume è un omaggio rivoltole dalla Provincia di Bari e anche dall’Università. Della Pinacoteca provinciale Pina Belli D’Elia è stata direttrice, dal 1974 al 1988 (ma la sua presenza - e influenza - si è esplicata ancor prima, dal 1967, e non ha mai cessato di farsi sentire anche dopo l’88). Sono stati anni determinanti per l’acquisizione dell’intrigante volto assunto dal museo, con un Dna «territoriale», che tuttavia ha portato la Pinacoteca barese a diventare una delle più belle, importanti e ricche collezioni d’arte del Mezzogiorno d’Italia.
Seguendo un indirizzo già indicato da Michele D’Elia (insuperabile organizzatore e difensore della cultura meridionale), si incrementarono gli acquisti e i depositi di opere intesi a tramare e illuminare meglio la storia dell’arte in Puglia dall’XI al XIX secolo. Naturalmente con un particolare riguardo al Medioevo e al Rinascimento. Insomma, l’intento era quello di proporre il «museo ideale» della Puglia, privilegiando opere di artisti pugliesi o di artisti che operarono nella nostra regione; ovvero che mandarono le loro tele per committenti pugliesi. Tra gli acquisti mirati - anche intervenendo sul mercato antiquariale - tele e sculture di grande interesse: come i due «modelletti» di Corrado Giaquinto, grande pittore di Molfetta, che raffigurano «San Nicola che salva i naufraghi» e il tema iliadico di «Ulisse e Diomede nella tenda di Reso» (1976 e 1979). O come il materico «Annuncio dei pastori» dell’omonimo pittore (forse l’ispani - co Juan Do); o i modelletti di Luca Giordano (che se non nacque a Polignano a Mare, come sostennero alcuni studiosi, pure molto operò in Puglia) e di Cesare Fracanzano, pugliese di padre veneto. Sotto la sua direzione, la collezione della Pinacoateca si fece ancor più prestigiosa grazie alla donazione Luigi Grieco (collezionista di origine lucana), ricca di 50 notevoli dipinti tra Otto e Novecento, acquisita nel 1986.
Nel 1975 Pina Belli D’Elia organizzò la mostra «Alle sorgenti del Romanico. Puglia XI secolo», una pietra miliare per la conoscenza della nostra arte medievale. Fu il vero approccio a una identità artistica e culturale della Puglia medievale, che offrì al grande pubblico nuove conoscenze, fatte di opere e maestranze: da Acceptus a Nicolò de Apulia... Scaturì un volume La Puglia nella collezione della Jaca book «Italia Romanica» (riproposto nel 2003). Il Medioevo è stato l’interesse predominante di Pina Belli D’Elia: dagli studi sulla Basilica di San Nicola alla Cattedrale di Bari, dal Duomo di Acerenza a quello di Troia, ai mille contributi su edifici, opere scultoree, affreschi e insediamenti della civiltà rupestre. Un Medioevo sviscerato nei minimi dettagli: fino ai siti rurali. Ma non solo Medioevo. Il suo «cantiere della conoscenza» (espressione che le è cara) non ha conosciuto limiti, spaziando in ogni epoca e in ogni stile: dal Finoglio ai presepi napoletani, dalle icone alle vignette di Frate Menotti. Mostrandoci l’incarnazione appassionata di un modello di studioso che non zappa in un unico orticello, ma che possiede la rara capacità di comprendere - e far comprendere a noi - l’arte di ogni epoca. Con spirito di finezza.