Brindisi, 7 marzo 1991 il primo sbarco di albanesi Puglia come terra promessa «I brindisini nel cuore»
di VITO ANTONIO LEUZZI
La corsa verso la libertà manifestatasi in tutti i paesi dell’Est europeo dopo la caduta del Muro di Berlino investì agli inizi degli anni ‘90 del secolo scorso, anche l’area balcanica con effetti traumatici soprattutto in Jugoslavia. Ma non sfuggì alla resa dei conti l’Albania caratterizzata sin dal secondo dopoguerra dal più cupo isolamento dal regime comunista di Enver Hoxha. Avvisaglie di una situazione insostenibile si erano già registrate nell’estate del 1990 con l’occupazione delle ambasciate straniere a Tirana e con la sbarco ad Otranto di un gruppo di disperati. Il collasso di un intero sistema politico-sociale indusse nei primi mesi del 1991 decine di migliaia di albanesi a fuggire su natanti di fortuna sulle coste pugliesi.
Nelle prime ore del 7 marzo di venti anni fa Brindisi fu svegliata dal suon delle sirene per l’arrivo di piccole navi gremite di migranti provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico. All’impreparazione delle strutture dello Stato ed alle inefficienze burocratiche sopperirono i cittadini di Brindisi in una vera e propria gara di solidarietà per assistere donne e bambini. La generosità dei brindisini, che non lesinarono aiuti di ogni genere, alimentari, vestiario e medicinali, sembrò un fatto naturale e spontaneo. Le requisizioni di scuole decise dall’amministrazione comunale per offrire un primo rifugio a molti albanesi, semi-assiderati ed in condizioni di salute preoccupanti, si rivelò propizia.
Nei giorni successivi l’attivazione dei centri di accoglienza profughi di Restinco e di altre strutture collocate nei centri dell’interno o lungo la costa (campeggi nelle località balneari di Ostuni, Fasano) rievocò le immagine del lungo dopoguerra quando la città e l’intera provincia offrirono accoglienza a migliaia di italiani provenienti dalla Venezia-Giulia ed ai rimpatriati dalle isole dell’Egeo e della Grecia. Brindisi e l’intera regione, da sempre terra di emigrazione, scoprirono di essere ora paesi di immigrazione. Il fenomeno, latente agli inizi degli anni ‘80, assumeva ora un aspetto eclatante.
La Puglia in quei giorni scoprì anche un vicino di casa, che la guerra fredda aveva reso così lontano, con tutte le questioni irrisolte di uno sviluppo economico di un’area fortemente arretrata e con un forte deficit di vita democratica. Si calcola che la prima ondata migratoria nel marzo del ‘91 riversò sulle nostre costa oltre venticinquemila profughi Le motivazioni di fondo di una scelta migratoria di massa da parte dei giovani albanesi scaturivano anche dai modelli socio- culturali italiani penetrati in Albania attraverso la Tv. Le aspettative di un mondo giovanile convinto che l’attraversamento di una stretta striscia di mare avrebbe dischiuso le porte al benessere e ad una civiltà diversa s’infransero in poco tempo.
La disponibilità ad accogliere questi profughi fu molto lenta e le scelte del governo si rivelarono inizialmente ambigue e caotiche. Una conferma di una diffusa incapacità ad affrontare in una visione organica la questione di uno dei paesi più poveri d’Europa, soffocato dall’arretratezza e da un regime comunista tra i più chiusi dell’Est europeo, si ebbe dopo pochi mesi a Bari. L’arrivo agli inizi di agosto di un'altra e massiccia ondata di emigrati, fu gestita dal governo centrale con scelte (gran parte dei fuggiaschi albanesi fu rinchiusa nell’ex stadio comunale della Vittoria) registrando un profondo dissenso delle stesse autorità locali e delle forze sociali.
Le immagini spettacolari della nave «Vlora» con un carico enorme di migliaia e migliaia di disperati è rimasta impressa nell’immaginario collettivo. La nave dei profughi, prima respinta a Brindisi e dirottata a Nord verso Monopoli, fu poi agganciata da rimorchiatori e ormeggiata nel porto del capoluogo pugliese. A Bari come a Brindisi un atteggiamento di apertura e comprensione della condizione disperata degli albanesi prevalse su timori e paure. Si registrarono gare di solidarietà - da parte della gente comune, del Villaggio Trieste a ridosso dello stadio (abitato dagli ex profughi giuliani, dalmati, greci), della Caritas, di parrocchie e di associazioni di volontariato - per portare sollievo a migliaia di albanesi soffocati da un caldo insopportabile e dall’isolamento totale, in uno stadio trasformato in campo d’internamento.
Il governo sottoposto a forti pressioni anche da parte della Comunità europea, dopo le operazioni di rientro forzato della seconda ondata degli albanesi, predispose un intervento non legato solo all’operazione di pattugliamento del canale d’Otranto per il respingimento dei fuggiaschi. Con l’operazione «Pellicano», che vide impegnati Esercito, Marina e Carabinieri in una vasta operazione umanitaria sull’altra sponda dell’Adriatico, si aprì una fase nuova anche delle relazioni geopolitiche di fronte ai grandi sommovimenti dell’area balcanica. Ma l’Albania dopo pochi anni fu di nuovo caratterizzata da un collasso economico senza precedenti. Tuttavia il sostegno della Comunità internazionale e l’intensificazione delle relazioni economiche e culturali hanno impedito il ripetersi di fuga di massa, affidando a normali flussi migratori le relazioni tra le due sponde dell’Adriatico .
La corsa verso la libertà manifestatasi in tutti i paesi dell’Est europeo dopo la caduta del Muro di Berlino investì agli inizi degli anni ‘90 del secolo scorso, anche l’area balcanica con effetti traumatici soprattutto in Jugoslavia. Ma non sfuggì alla resa dei conti l’Albania caratterizzata sin dal secondo dopoguerra dal più cupo isolamento dal regime comunista di Enver Hoxha. Avvisaglie di una situazione insostenibile si erano già registrate nell’estate del 1990 con l’occupazione delle ambasciate straniere a Tirana e con la sbarco ad Otranto di un gruppo di disperati. Il collasso di un intero sistema politico-sociale indusse nei primi mesi del 1991 decine di migliaia di albanesi a fuggire su natanti di fortuna sulle coste pugliesi.
Nelle prime ore del 7 marzo di venti anni fa Brindisi fu svegliata dal suon delle sirene per l’arrivo di piccole navi gremite di migranti provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico. All’impreparazione delle strutture dello Stato ed alle inefficienze burocratiche sopperirono i cittadini di Brindisi in una vera e propria gara di solidarietà per assistere donne e bambini. La generosità dei brindisini, che non lesinarono aiuti di ogni genere, alimentari, vestiario e medicinali, sembrò un fatto naturale e spontaneo. Le requisizioni di scuole decise dall’amministrazione comunale per offrire un primo rifugio a molti albanesi, semi-assiderati ed in condizioni di salute preoccupanti, si rivelò propizia.
Nei giorni successivi l’attivazione dei centri di accoglienza profughi di Restinco e di altre strutture collocate nei centri dell’interno o lungo la costa (campeggi nelle località balneari di Ostuni, Fasano) rievocò le immagine del lungo dopoguerra quando la città e l’intera provincia offrirono accoglienza a migliaia di italiani provenienti dalla Venezia-Giulia ed ai rimpatriati dalle isole dell’Egeo e della Grecia. Brindisi e l’intera regione, da sempre terra di emigrazione, scoprirono di essere ora paesi di immigrazione. Il fenomeno, latente agli inizi degli anni ‘80, assumeva ora un aspetto eclatante.
La Puglia in quei giorni scoprì anche un vicino di casa, che la guerra fredda aveva reso così lontano, con tutte le questioni irrisolte di uno sviluppo economico di un’area fortemente arretrata e con un forte deficit di vita democratica. Si calcola che la prima ondata migratoria nel marzo del ‘91 riversò sulle nostre costa oltre venticinquemila profughi Le motivazioni di fondo di una scelta migratoria di massa da parte dei giovani albanesi scaturivano anche dai modelli socio- culturali italiani penetrati in Albania attraverso la Tv. Le aspettative di un mondo giovanile convinto che l’attraversamento di una stretta striscia di mare avrebbe dischiuso le porte al benessere e ad una civiltà diversa s’infransero in poco tempo.
La disponibilità ad accogliere questi profughi fu molto lenta e le scelte del governo si rivelarono inizialmente ambigue e caotiche. Una conferma di una diffusa incapacità ad affrontare in una visione organica la questione di uno dei paesi più poveri d’Europa, soffocato dall’arretratezza e da un regime comunista tra i più chiusi dell’Est europeo, si ebbe dopo pochi mesi a Bari. L’arrivo agli inizi di agosto di un'altra e massiccia ondata di emigrati, fu gestita dal governo centrale con scelte (gran parte dei fuggiaschi albanesi fu rinchiusa nell’ex stadio comunale della Vittoria) registrando un profondo dissenso delle stesse autorità locali e delle forze sociali.
Le immagini spettacolari della nave «Vlora» con un carico enorme di migliaia e migliaia di disperati è rimasta impressa nell’immaginario collettivo. La nave dei profughi, prima respinta a Brindisi e dirottata a Nord verso Monopoli, fu poi agganciata da rimorchiatori e ormeggiata nel porto del capoluogo pugliese. A Bari come a Brindisi un atteggiamento di apertura e comprensione della condizione disperata degli albanesi prevalse su timori e paure. Si registrarono gare di solidarietà - da parte della gente comune, del Villaggio Trieste a ridosso dello stadio (abitato dagli ex profughi giuliani, dalmati, greci), della Caritas, di parrocchie e di associazioni di volontariato - per portare sollievo a migliaia di albanesi soffocati da un caldo insopportabile e dall’isolamento totale, in uno stadio trasformato in campo d’internamento.
Il governo sottoposto a forti pressioni anche da parte della Comunità europea, dopo le operazioni di rientro forzato della seconda ondata degli albanesi, predispose un intervento non legato solo all’operazione di pattugliamento del canale d’Otranto per il respingimento dei fuggiaschi. Con l’operazione «Pellicano», che vide impegnati Esercito, Marina e Carabinieri in una vasta operazione umanitaria sull’altra sponda dell’Adriatico, si aprì una fase nuova anche delle relazioni geopolitiche di fronte ai grandi sommovimenti dell’area balcanica. Ma l’Albania dopo pochi anni fu di nuovo caratterizzata da un collasso economico senza precedenti. Tuttavia il sostegno della Comunità internazionale e l’intensificazione delle relazioni economiche e culturali hanno impedito il ripetersi di fuga di massa, affidando a normali flussi migratori le relazioni tra le due sponde dell’Adriatico .