La storia: foggiano «Affogato dalla banca per 15mila euro»
La crisi non accenna a placare la sua morsa sulle aziende foggiane. E le istituzioni fanno quello che possono per arginarne gli effetti. E’ soprattutto il rapporto banche-imprese a balzare in questi casi all’attenzione: un confronto mai sbocciato, che sembrava appena avviato qualche mese fa durante l’epoca più cupa della crisi. La sostanza è però sempre la stessa: il sistema bancario continua a diffidare del tessuto imprenditoriale locale. Bastano pochi esempi per conferm arlo.
Qualche giorno fa è venuto a trovarci in redazione un piccolo imprenditore foggiano per lanciare il suo grido d’aiuto: «Non ho altre vie d’uscita, se qualcuno non mi aiuta dovrò portare i libri contabili in tribunale per soli 15mila euro». L’imprenditore ha chiesto il prestito a una banca locale per saldare alcuni pagamenti arretrati (rate di ammortamento dell’auto, affitto dei locali e quant’altro). Il ricorso al consorzio fidi sembrava potesse spalancare le porte verso quel prestito tanto agognato nei tempi e nei modi richiesti (comunque brevi: i pagamenti erano tutti in scadenza).
Sembrava, perchè la storia è proprio da qui che comincia a farsi in salita. «Ho contattato due consorzi fidi per ottenere quel prestito, tutt’altro che oneroso per la banca. Mi sono rivolto in prima battuta al consorzio fidi Cooperativa artigiani di garanzia - spiega l’imprenditore - che mi aveva garantito fino a 35mila euro. Sembrava che tutto filasse liscio,ma la banca pretendeva il decreto antiusura che il consorzio per questo genere di situazioni non avrebbe potuto rilasciare. A questo punto sono stati i signori dell’istituto di credito a consigliarmi di cambiare consorzio fidi. Mi sono pertanto rivolto al cofidi Finacommercio che mi ha sì rilasciato il decreto antiusura, ma offrendomi garanzie ridotte per un importo di 15mila euro. Tengo a precisare - aggiunge l’imprenditore - che ho dovuto tirare fuori di tasca mia 300 euro a pratica senza ottenere, allo stato, il becco di un quattrino».
L’odissea dell’imprenditore non è finita perchè nonostante il via libera del cofidi e della banca («a livello centrale mi dicono che la pratica è passata»), il prestito comunque si arena nelle sabbie mobili dell’ufficio che dà il nulla osta per questo genere di operazioni. L’imprenditore cerca di chiedere spiegazioni alla banca, gli rispondono che la titolare d’azienda (risulta essere la moglie) è segnalata al Crif, la centrale rischi finanziari che rappresenta per molti imprenditori una ghigliottina a vita. L’imprenditore chiarisce: «Un debito di 2800 euro con l’Inps per quattro bollettini pagati in ritardo».
Lo scoglio sembra superato, in fondo l’azienda ammessa all’istruttoria del cofidi possiede un attivo di 30mila euro. Attraversa solo un momento di ordinaria difficoltà, insomma presenta l’identikit giusto per ottenere udienza e aiuto dalla rete di solidarietà che in questi tempi di crisi dovrebbe essere pronta a fare da paracadute per questo genere di realtà recuperabili. E invece la banca tentenna, perde tempo, non facilita un piano d’aiuto che dovrebbe essere già scattato. Intanto per pagare le prime rate l’imprenditore ha chiesto un prestito ai familiari. E minaccia: «Denuncerò tutto alla banca d’Italia se mi faranno affogare». [m.lev.]
Qualche giorno fa è venuto a trovarci in redazione un piccolo imprenditore foggiano per lanciare il suo grido d’aiuto: «Non ho altre vie d’uscita, se qualcuno non mi aiuta dovrò portare i libri contabili in tribunale per soli 15mila euro». L’imprenditore ha chiesto il prestito a una banca locale per saldare alcuni pagamenti arretrati (rate di ammortamento dell’auto, affitto dei locali e quant’altro). Il ricorso al consorzio fidi sembrava potesse spalancare le porte verso quel prestito tanto agognato nei tempi e nei modi richiesti (comunque brevi: i pagamenti erano tutti in scadenza).
Sembrava, perchè la storia è proprio da qui che comincia a farsi in salita. «Ho contattato due consorzi fidi per ottenere quel prestito, tutt’altro che oneroso per la banca. Mi sono rivolto in prima battuta al consorzio fidi Cooperativa artigiani di garanzia - spiega l’imprenditore - che mi aveva garantito fino a 35mila euro. Sembrava che tutto filasse liscio,ma la banca pretendeva il decreto antiusura che il consorzio per questo genere di situazioni non avrebbe potuto rilasciare. A questo punto sono stati i signori dell’istituto di credito a consigliarmi di cambiare consorzio fidi. Mi sono pertanto rivolto al cofidi Finacommercio che mi ha sì rilasciato il decreto antiusura, ma offrendomi garanzie ridotte per un importo di 15mila euro. Tengo a precisare - aggiunge l’imprenditore - che ho dovuto tirare fuori di tasca mia 300 euro a pratica senza ottenere, allo stato, il becco di un quattrino».
L’odissea dell’imprenditore non è finita perchè nonostante il via libera del cofidi e della banca («a livello centrale mi dicono che la pratica è passata»), il prestito comunque si arena nelle sabbie mobili dell’ufficio che dà il nulla osta per questo genere di operazioni. L’imprenditore cerca di chiedere spiegazioni alla banca, gli rispondono che la titolare d’azienda (risulta essere la moglie) è segnalata al Crif, la centrale rischi finanziari che rappresenta per molti imprenditori una ghigliottina a vita. L’imprenditore chiarisce: «Un debito di 2800 euro con l’Inps per quattro bollettini pagati in ritardo».
Lo scoglio sembra superato, in fondo l’azienda ammessa all’istruttoria del cofidi possiede un attivo di 30mila euro. Attraversa solo un momento di ordinaria difficoltà, insomma presenta l’identikit giusto per ottenere udienza e aiuto dalla rete di solidarietà che in questi tempi di crisi dovrebbe essere pronta a fare da paracadute per questo genere di realtà recuperabili. E invece la banca tentenna, perde tempo, non facilita un piano d’aiuto che dovrebbe essere già scattato. Intanto per pagare le prime rate l’imprenditore ha chiesto un prestito ai familiari. E minaccia: «Denuncerò tutto alla banca d’Italia se mi faranno affogare». [m.lev.]