BARI - Inizieranno oggi e termineranno l’11 dicembre gli interrogatori di garanzia delle 83 persone arrestate martedì mattina nell’ambito del blitz «Domino». Al momento sono 5 le persone «irreperibili », senza contare «il biondo» e «la riccia», tra le 129 persone indagate dall’Antimafia di Bari, le uniche non ancora identificate. All’appello, infatti, fino a questo momento, mancano ancora i fratelli Francesco e Giacomo Peragine di Acquaviva delle Fonti, Antonio Paolo Zefferino, Antonio Cardinale e Luigi Caldarulo, baresi.
Sabato 5 dicembre davanti al giudice per le indagini preliminari Giulia Romanazzi compariranno gli avvocati Gianni Di Cagno e Onofrio Sisto, legali del bancarottiere barese Michele Labellarte, interdetti per 2 mesi dalla professione: sarà la loro prima occasione di difendersi dalle accuse. L’inchiesta è quella che ha permesso alla Guardia di finanza di smantellare il clan mafioso di Savinuccio Parisi e di sequestrare un patrimonio di 220 milioni di euro.
Sia Di Cagno, ex componente laico di centrosinistra del Csm, sia Sisto, ex vice presidente del Pd della Provincia di Bari, affermeranno la propria estraneità ai fatti contestati, che sono di aver agevolato l’impiego del danaro di provenienza illecita di Michele Labellarte, ritenuto «perno» dell’inchiesta, sapendo che questi era stato condannato con sentenza definitiva per bancarotta fraudolenta e per frode fiscal e. Gianni Di Cagno continua a sostenere di non avere fatto altro che il suo dovere di avvocato, e che «tutte le contestazioni sono frutto di un gravissimo equivoco sulle modalità di espletamento del mandato professionale e sulla stessa funzione dell’avvocato costituzionalmente garantita»; dello stesso avviso Sisto che ha evidenziato in dichiarazioni pubbliche che la sua «attività, meramente professionale, è stata incredibilmente ed erroneamente interpretata come penalmente rilevante». Anche il presidente della circoscrizione Carbonara Michele De Giulio, coinvolto nell’inchiesta, respinge ogni addebito e chiede di essere interrogato al più presto.
Con l’avviso notificato lunedì scorso, l’inchiesta si è dunque conclusa anche formalmente. Le richieste effettuate al giudice Romanazzi sono state depositate dalla Procura distrettuale antimafia nel marzo 2009 e sono state integrate a luglio e ottobre 2009 in particolare, stando ad alcune indiscrezioni, in relazione ai cosiddetti «colletti bianchi».
La parte di indagine legata ai clan e al traffico di droga (i cui proventi sarebbero stati in parte riciclati dal bancarottiere Michele Labellarte) sarebbe nata grazie ad una microspia piazzata dalla Finanza in un autosalone al quartiere San Pasquale di Bari, diventata la sala conferenze dei boss. Un luogo apparentemente sicuro, gestito da un insospettabile incensurato. Affari, «spartenze», liti da dirimere, rapporti da ricucire, definiti «nell’ufficio» che non ti aspetti: quell’autosalone di via Pavoncelli 59 uno dei pensatoi del clan. Sarebbe stato proprio il suo titolare Vito Valenzano, secondo l’Antimafia, la vera cerniera degli affari tra il boss Michele Stramaglia (al quale era particolarmente legato da un vincolo di amicizia) e Savino Parisi con il quale intavola un rapporto intimo proprio all’indomani della sua scarcerazione. In quell’autosalone i due si sono incontrati più volte. Parisi, da quanto emerge nell’indagine si sentiva a casa sua. Valenzano, persona assolutamente al di sopra di ogni sospetto ma con un tenore di vita elevato, sarebbe diventato il suo «consigliere».
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