Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Prezzi Opus di Nielsen Panel a parità di prodotti acquistati fare la spesa in una regione può costare fino al 10% in più rispetto ad un’altra. Lo studio prende in considerazione tutti i prodotti di largo consumo confezionati (120.000 articoli tra alimentari, bevande, igiene personale, pulizia casa, freschi confezionati) venduti nei supermercati e ipermercati italiani • Supermercati, i costi per regione
07 Agosto 2009
lI prezzi sono più alti al Sud: fare la spesa in un supermercato a Firenze, a Milano o a Catania non è certo la stessa cosa. Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Prezzi Opus di Nielsen Panel a parità di prodotti acquistati fare la spesa in una regione può costare fino al 10% in più rispetto ad un’altra. Lo studio prende in considerazione tutti i prodotti di largo consumo confezionati (120.000 articoli tra alimentari, bevande, igiene personale, pulizia casa, freschi confezionati) venduti nei supermercati e ipermercati italiani.
Molteplici sono i fattori che determinano queste differenze, riconducibili principalmente alla struttura distributiva italiana e alla sua capacità di contenere i costi che incidono sul prezzo finale dei prodotti quali, ad esempio, i costi logistici. Questo, oltre alla competitività delle insegne è il motivo per cui esistono significative differenze nel confronto regionale con, ad esempio, un indice di prezzo in Toscana di circa 5 punti più basso rispetto alla media italiana e di oltre 10 rispetto alla regione più «cara». Sul livello di spesa sostenuto dalle famiglie incidono anche altri fattori. Il livello di reddito, la percentuale di occupazione femminile, il tempo disponibile per la preparazione dei pasti, le abitudini alimentari e l’incidenza dei consumi fuori casa sono alcuni dei fattori che determinano profonde differenze nella composizione del carrello della spesa nelle diverse regioni italiane.
Sono queste le ragioni per cui, sebbene a parità di prodotti le regioni del Sud risultino piu «care», il carrello della spesa medio in queste regioni ha un valore significativamente più basso. Insomma, al Sud si spende di meno complessivamente quando si va a fare la spesa ma i singoli prodotti del carrello costano di più di quanto non costino al Nord. Ne discende che, evidentemente, la famiglia al Sud ha meno soldi da spendere. Oppure che la disoccupazione femminile, significativamente più alta nel Mezzogiorno rispetto al Settentrione, vede la condizione della donna più orientata al lavoro casalingo e quindi alla preparazione dei pasti, ad esempio, piuttosto che all’utilizzo dei pasti pronti o «semi-cucinati».
«Dopo il putiferio scatenato con la sciocchezza delle gabbie salariali, gradiremmo conoscerel'opinione del ministro Calderoli e delle altre camicie verdi di frontea questi dati», commenta cos’ì la ricerca Nielsen, Sergio D’Antoni, responsabile Mezzogiorno del Partito democratico. «La vera gabbia che imprigiona il Mezzogiorno si chiama disoccupazione - aggiunge -. Nel meridione la stragrande maggioranza delle famiglie, quando va bene, vive con un solo stipendio, già inferiore mediamente del 30 per cento rispetto ai redditi settentrionali».
Ma Calderoli anche ieri è tornato sull’argomento prezzi/ retribuzioni, negano i riferimenti alle gabbie salariali: «La contrattazione di secondo livello, quella locale, esiste già: nella riforma Brunetta come nel mio federalismo fiscale è già prevista, non c`è neppure bisogno di una legge nuova per introdurla ». E le gabbie salariali? «Non le ho mai evocate, e chi mi attacca sta facendo una gran confusione, anche strumentale». Ma rivendica la necessità di adeguare gli stipendi al «costo reale della vita nelle diverse realtà».
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