il pensiero

Lo scontro Bernini-Studenti e la necessità di superare il Novecento

michele de feudis

Le riforme - dall’università al premierato alla separazione delle carriere - possono dividere, ma è necessario consolidare una grammatica delle relazioni politiche

Il sale della democrazia è il confronto, non (solo) la contestazione. «Uno di voi salga sul palco per dire come la pensa»: per meglio comprendere il clima politico di questi giorni, tra scioperi, scontri tra sindacalisti a Genova e l’approvazione della Manovra, può essere utile raccontare un dettaglio della contestazione di due studenti dell’Udu durante l’incontro sull’Università nel programma di Atreju a cui partecipava il ministro Anna Maria Bernini. Appena la leader di Forza Italia ha preso la parola è partita la protesta, rumorosa al punto da interrompere i lavori. Gli universitari hanno gridato «non ce la facciamo più, con il semestre filtro rischiamo di perdere un anno», ripetuto in loop. Il moderatore del panel, il direttore del Secolo d’Italia, Antonio Rapisarda, ha provato a sbloccare l’impasse formulando ai ragazzi la proposta mediatrice: «Uno di voi salga sul palco per dire come la pensa». Ma l’invito è caduto nel vuoto e la Bernini, stanca di ricevere improperi ogni giorno dalle sinistre giovanili, è scesa dal palco e li ha raggiunti per spiegare la sua tesi a sostegno della riforma dell’accesso alla facoltà di medicina («Era meglio spendere migliaia di euro per prepararsi ai test?»).

Poi la chiosa berlusconiana sul “non volete ascoltare, siete solo dei poveri comunisti”. Al di là delle ricostruzioni e dei legittimi commenti politici pro o contro, l’invito a salire sul palco e a confrontarsi incarna in pieno lo spirito di Atreju, una festa che ha costruito il suo successo sulla dialettica tra opposti, tra diversi: da Fausto Bertinotti a Walter Veltroni, fino a ieri, quando sul palco è salito il comunista Marco Rizzo, c’è sempre nel programma anche la sinistra di qualsiasi tonalità di rosso. Quella cultura del confronto è diventata un caposaldo della destra politica che Giorgia Meloni ha portato al governo, ma anche della migliore tradizione parlamentare italiana, che ha avuto stagioni di dialogo tra opposti perfino nelle stagioni più illiberali (come nel caso della Commissione dei Diciotto guidata dal ministro Giovanni Gentile).

La riforma dell’accesso alle facoltà di Medicina era un tema ricorrente addirittura dalla prima metà degli anni novanta. La Bernini ci ha messo mano e gli studenti hanno buon diritto di chiedere conto delle innovazioni. Ma i modi e i luoghi contano. Già è inusuale interrompere una manifestazione di partito (immaginate due ragazzi di destra che bloccano un convegno in una festa dell’Unità, si sarebbe evocato il ritorno del peggior squadrismo), ma quando in quella sede si riceve un invito a portare la propria voce sul palco, non bisogna mai declinare.

Le riforme - dall’università al premierato alla separazione delle carriere - possono dividere, ma è necessario consolidare una grammatica delle relazioni politiche: i due studenti, rinunciando ad intervenire, hanno perso una occasione di dare forma ad una politica che compone le istanze più irriducibili nel dialogo democratico.

Nulla è stato casuale: i militanti dell’Udu hanno conquistato la ribalta con una performance teatrale a cui la Bernini ha dato il tocco d’antan con la citazione di Silvio. Ma si è persa l’occasione di rompere gli schemi governo-movimento, maggioranza-opposizione, Palazzo-gioventù. La politica, ridotta a recita di copioni già scritti nel Novecento, non coglie la complessità del nostro tempo e la necessità di rispettare i luoghi del confronto per dare forma alle proprie ragioni. Il pomeriggio ad Atreju avrebbe fatto più rumore se ci fosse stato un dialogo sui contenuti della riforma, mentre ne resterà traccia solo su un link di YouTube e in corsivetto mainstream che vorrebbe essere ironico e invece lascia la sensazione di un’occasione perduta. Per le matricole di medicina alla ricerca di una rappresentanza studentesca in grado di uscire dal recinto più sterile del Novecento, e forse per tutti noi.

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