l'usanza
Il pranzo della domenica? Un bene del Sud e patrimonio universale
Il mondo è cambiato, ci sono ormai tanti robot quanto umani, Trump si crede dio, nessuno sa bene dove andremo a finire. Ma il Pranzo della Domenica no. Più sacro di una reliquia, più atteso di una vincita al Lotto
Se un giorno un viaggiatore dovesse capitare al Sud d’Italia, e non sapesse che giorno è, gli basterebbe un segnale inconfondibile. Vedendo tanti con la guantiera delle paste in mano, non potrebbe sbagliare: è domenica. E tutti quelli con la guantiera si preparano a un rito pressoché eterno: il Pranzo della Domenica. Il mondo è cambiato, ci sono ormai tanti robot quanto umani, l’intelligenza artificiale si ritiene più intelligente di quella naturale, si mangia sempre più fuori che a casa, Trump si crede dio, la Juventus cambia più allenatori che risultati, nessuno sa bene dove andremo a finire. Ma il Pranzo della Domenica no. Più sacro di una reliquia, più atteso di una vincita al Lotto, più immutabile del Natale, più irrinunciabile dell’insulina per un diabetico. Il Pranzo della Domenica è.
Il prossimo dicembre a Nuova Delhi dovrebbe entrare nel patrimonio universale dell’umanità come bene unico e irripetibile. Sarebbe il primo riconoscimento a una intera cucina, quella italiana, più che a singoli piatti. E per dargli una spintarella il 21 settembre scorso tutta l’Italia è diventata un’unica tavolata nelle sue piazze. Con la colonna sonora di
Dice Marino Niola, il maggior antropologo italiano, che senza questo Pranzo della Domenica l’Italia non sarebbe Italia. Con epicentro, ovviamente al Sud, dove non per niente già ai primi del Duecento il nostro Federico II fece redigere il
Questo della domenica è un pranzo che definire lento è fin troppo caritatevole, conoscendone l’inizio ma mai la fine (ché se poi capiti dai greci, parlare di fine è addirittura una bestemmia). Diciamo un tempo sospeso, un
Le portate? Beh, non puoi neanche immaginare di non cominciare con l’antipasto, anche se è un antipasto che basterebbe per due giorni. E poi il primo, se non due, diciamo per assaggiare. E la pietanza dominata dall’arrosto, se dai il pesce è come se li trattassi da ammalati. E i contorni, chiamati così solo per discrezione, trattandosi di quantità non da nutrizione ma da insaccamento. E frutta, e noci-nocelle-mandorline-sopratavoli. Fino all’apertura della mitica guantiera, che contiene più attentati più che dolci. Oltre a torte e crostate di produzione domestica. Vino della casa a volontà (nella successione inesorabile dei brindisi), e liquorino, e amaro, e caffè in un clima da annientamento in cui la palpebra calante deve autocensurarsi perché pare brutto.
Un milanese che ha deciso di lasciare tutto e venire a vivere al Sud (Alessandro Brunello) ha descritto qualcosa da lui imparata del Pranzo della Domenica per uscirne vivo. Anzitutto se hai bisogno di sale o pepe, non dovrai neanche chiederlo perché è subito pronta una zia con poteri paranormali che ti capisce prima che tu parli. E basta un piccolo innocente spostamento della pupilla verso la pentola per ritrovarti un bis piazzato nel piatto. E se non mangi,
E tuttavia, nonostante tutti i sopraddetti effetti collaterali, e nonostante la cavalcata delle valchirie del fast food, il Pranzo della Domenica continua a piacere al 63 per cento degli italiani. Lo scrittore torinese Luca Bianchini (che ha scritto gran parte dei suoi libri a Polignano, chissà perché) racconta che quando viene in Puglia non lo deve far sapere altrimenti tutti lo invitano a casa loro. Lui sdrammatizza, ma il sospetto atroce è che non voglia incappare in qualche Pranzo della Domenica.