Il commento
No a inutili esche elettorali, dalle regionali pugliesi idee concrete per l’ex Ilva
L’Ilva è tema nazionale strategico. Ciò in quanto tocca, nella contemporaneità, l’economia, l’ambiente, la salute dei cittadini e la politica industriale nella sua interezza
Governatore prossimo delle Puglie, si prepari le scarpette per correre! Ma davvero, abbandonando ogni genere di chiacchiere. Decaro, ormai incoronato largamente da tutti i sondaggi, ha anche la testa e il fisico da buon «maratoneta». Il podio da conquistare è l’Ilva. L’ex presidente dell’Anci lo sa bene, tanto da arrivare alla soluzione «estrema» (ma ben concepita) di nazionalizzarla. L’Ilva (e il futuro presidente regionale lo sa bene) è un tema nazionale. È anche la sua neo-denominazione a suggerirlo «Acciaierie d’Italia», subentrata a quella dell’Ilva di Taranto che la collocava in un immeritato recinto territoriale, nel quale ha fatto tanti danni alla salute e all’ambiente. È tema nazionale sotto innumerevoli punti di vista, difficili da elencare perché troppi, tanta è la priorità che li differenzia ma che li unisce.
Quello economico e industriale è certamente quello più visibile agli occhi strategici: è il più grande centro siderurgico d’Europa, in quanto tale potenzialmente produttivo della quota rilevante dell’acciaio italiano, strategico per molti settori industriali (dalle automotive, alle costruzioni edili e alla meccanica). Di conseguenza, generativo di una occupazione di migliaia di lavoratori diretti e indotti in tutto il Paese, proprio per questo la sua crisi produrrebbe ripercussioni nazionali sull’occupazione. Comprimario è il tema ambientale e sanitario: le sue emissioni e l’inquinamento generati hanno avuto gravi conseguenze sulla salute pubblica e sull’ambiente non solo tarantino, di inaudita gravità riconosciuta dalla giurisprudenza che ne ha sancito la diretta responsabilità in tanti atroci decessi. Un rischio simile impone l’interesse nazionale perché coinvolgente la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute delle persone, costituzionalmente garantiti (artt. 9, 32 e 41).
Insomma, l’Ilva è tema nazionale strategico. Ciò in quanto tocca, nella contemporaneità, l’economia, l’ambiente, la salute dei cittadini e la politica industriale nella sua interezza. In quanto tale, le soluzioni che la riguardano rappresentano l’espressione di un interesse politico e istituzionale, non solo afferenti al livello locale, bensì a quello nazionale, tanto da avere prodotto sino ad oggi interventi statali, specie di carattere emergenziale. Questi hanno trovato sì concretezza, ma di parziale efficacia. Insufficienti i commissariamenti estemporanei, i provvedimenti legislativi di emergenza e gli interventi di partecipazione pubblica, per esempio quelli attraverso Invitalia, madre di tanti fallimenti.
Proprio sulla base di queste considerazioni occorre stare attenti a mettere a confronto soluzioni esclusivamente a scopo politico, per arrivare primi in qualcosa. Sarebbe la perpetrazione del danno, alla salute in senso lato e all’occupazione dignitosa! La competizione regionale deve trasformarsi in una occasione favorevole per il futuro delle «Acciaierie d’Italia», per una sua definitiva sistemazione, non già in una gara di inutili esche elettorali. A nulla serve la negazione ex abrupto della sua nazionalizzazione, così come pronunciata dal ministro Urso, arrampicandosi su una Costituzione che (pare) non la consentirebbe, nonostante il suo essere produttore egemone in Europa. Così come è da ritenersi stravagante e ulteriormente rischioso l’utilizzo delle risorse statali attraverso partecipazioni vincenti in procedure agonistiche con i privati. Tante le esperienze negative in tal senso. Diversi i «fallimenti con i privati» e il loro dannevole ritiro dai progetti condivisi (l’esempio della società indiana ArcelorMittal è sintomatico) con la prerogativa di aggravare il perimetro della crisi. Tutto ciò a dimostrazione che la gestione esclusivamente privata non ha capacità di reggere. Difficili da sostenere gli investimenti necessari dettati dalla combinazione dei costi ambientali con quelli di rinnovamento tecnologico e di sopportazione dei contenziosi.
Un insieme di pesi che non lasciano sperare al privato il conseguimento della sostenibilità aziendale. Tenendo conto della esperienza vissuta da credere all’esito favorevole della gigafactory di scuola trumpiana, perorata dal ministro Urso juste pour faire du bruit électoral, nella quale è davvero difficile individuare gli scenari possibili, tenendo conto tuttavia dei diversi impatti sull’ecosistema e sull’occupazione. Del resto, l’idea poggia la sua messa a terra della proposta della fine di luglio scorso della Tesla Owners Italia di riproposizione del progetto del 2021 di riconversione dello stabilimento ad emissioni zero, focalizzata sulla produzione di veicoli elettrici, sistemi di accumulo energetico e componentistica sostenibile.
Tutto ciò lascia propendere per la proposta di nazionalizzazione del già bravo sindaco di Bari, oggi europarlamentare. Tanti i punti di forza della sua idea politica, di qui a poco anche istituzionale. Presenti delle ovvie criticità, ma superabili con l’impegno e i sacrifici di tutti, da sopportarsi con la solidarietà dell’intera Nazione. Processo di decarbonizzazione a carico dello Stato manager che si renda garante di due risultati: l’occupazione e la questione ambientale, mettendo in cantina il carbone e passando al ricorso dei forni elettrici.
Per fare tutto questo, occorre gestire al massimo il podio regionale, sino ad oggi distratto dall’assumere efficacia politica. Indispensabili gli esami propedeutici al progetto, che Decaro ha messo già in inventario: la definizione dello stato giuridico dell’iniziativa; l’estimo economico-finanziario dei costi accollati allo Stato per investimenti e bonifica dei luoghi (decarbonizzazione, eliminazione dei rischi socio-ambientali, prospettive di redditività, ecc.); il rilancio della sovranità industriale nella produzione dell’acciaio.
Un progetto che abbisogna della solidarietà reale di tutti, magari sostituendo ad hoc qualcuna delle inutili accise sui carburanti obsolete da decenni (del tipo: guerra d’Etiopia del 1935); disastro del Vajont del1963; alluvione di Firenze del 1966; terremoto del Belice del 1968; terremoto dell’Irpinia del 1980 e missione in Libano del 1983) destinando quantomeno l’equivalente ad un progetto così importante per il Paese e l’Europa.