esteri
Una giornata storica, ma la pace vera è ancora molto lontana
Si può raggiungere la pace vera se c’è il riconoscimento dell’altro, se c’è un oppresso a cui viene ridata la libertà e un oppressore che riconosce le sue responsabilità. Queste premesse non ci sono.
A Sharm el Sheik, Israele e Hamas hanno raggiunto l’accordo per un cessate il fuoco a Gaza. È una giornata storica? Sì. È una giornata storica perché dopo due anni di massacri quotidiani, dopo la distruzione totale di una piccola striscia di terra, dopo aver ridotto alla fame due milioni di esseri umani, si vede l’interruzione di questo processo genocidario.
È una giornata storica perché dopo due anni gli ostaggi sopravvissuti possono tornare ad abbracciare le loro famiglie. Per questo le persone festeggiano per strada a Gaza e a Tel Aviv.
Ci sarà la pace? Difficile o impossibile dirlo. Possiamo solo dire che Hamas ha sottoscritto l’impegno di deporre le armi e il governo israeliano l’impegno di cominciare a ritirare l’esercito. Possiamo solo dire che entreranno finalmente i camion per sfamare la popolazione e i bambini non verranno più mitragliati ai punti di distribuzione del cibo della GHF (Gaza Humanitarian Foundation). Possiamo dire che, oltre l’interruzione dei massacri, ci sarà lo scambio fra gli ostaggi di Hamas e gli ostaggi che Israele detiene nelle sue carceri. Non, però, la liberazione di Marwan Barghouti, il Mandela palestinese, che rimarrà a marcire in carcere.
Quindi è una giornata storica soprattutto perché domani i gazawi e gli ostaggi israeliani potranno svegliarsi e non chiedersi più se moriranno o continueranno a vivere.
Certo, è una giornata storica anche per Trump che ambisce al Nobel per la pace ed è forse per questo che ha telefonato direttamente ai parenti degli ostaggi bypassando il Primo ministro israeliano Netanyahu. Per il quale forse una giornata storica non è perché non può «finire il lavoro», cioè la fine della pulizia etnica e deportazione degli abitanti di Gaza.
Certamente non è una giornata storica per la pace perché la pace, ovviamente, non è ancora raggiunta e chissà se lo sarà mai. La pace senza giustizia è difficilmente raggiungibile, e se la si raggiunge, pace non è ma pacificazione, cioè terra trasformata in deserto e poi chiamata pace, secondo il noto detto latino.
Si può raggiungere la pace vera se c’è il riconoscimento dell’altro, se c’è un oppresso a cui viene ridata la libertà e un oppressore che riconosce le sue responsabilità. Queste premesse non ci sono.
L’attuale «consiglio di pace» presieduto da Trump e a cui partecipa il britannico Tony Blair (accusato di crimini di guerra in Iraq) sembra l’ennesima copia di uno dei tanti comitati e commissioni che hanno gestito la Palestina per un secolo.
È il 1922: comincia il Mandato britannico in Palestina che - assegnato al governo di Sua Maestà attraverso il Patto della Società delle Nazioni (l’Onu di allora) - era ispirato alla classica logica coloniale del tempo. L’art. 22 recitava che i «popoli non ancora in grado di reggersi da sé, nelle difficili condizioni del mondo moderno» e il cui benessere e sviluppo «è un compito sacro della civiltà», erano affidati alla tutela delle «nazioni progredite» per essere accompagnati nel percorso verso l’indipendenza sotto il principio guida del rispetto dei «desideri di queste comunità». Principio guida mai applicato.
È il 2025: il «consiglio di pace» dichiara di gestire i finanziamenti per «la riqualificazione» della Striscia «fino a quando l’autorità Nazionale palestinese non avrà completato il suo programma di riforme». Solo allora «potrà riprendere il controllo di Gaza in modo sicuro ed efficace». Viene da chiedersi, sicuro ed efficace per chi e a quale fine? Ancora una volta per i dimenticati «desideri di queste comunità»? Nel 1936, durante la violenta repressione della Rivolta araba scoppiata per le discriminazioni sistematiche cui i palestinesi venivano sottoposti in favore dei coloni ebrei, l’allora ministro delle colonie Churchill, dichiarò: «Io non ammetto che il cane che stia un canile abbia dei diritti sul suo canile, sebbene ci sia stato per un lungo tempo».
La pace vera ci sarà solo quando i palestinesi non saranno più considerati, ora come allora, cani o «animali umani» (Gallant). Quando potranno decidere autonomamente della propria sorte di popolo. Siamo molto lontani da questo traguardo.