La riflessione
«Palestina libera», ma nella rissa italiana non si salva nessuno
Ormai totalmente incapace di pensare in termini sociali e collettivi, la sinistra degli ultimi anni, molto liberal e molto liquida, si era risolta in una sorta di grancassa delle questioni di genere e dell’accoglienza a tutti costi
C’è un corpo agonizzante riverso al suolo. Qualcuno prova a rianimarlo con un defribillatore. «Tre, due, uno...libera!». Niente. «Libera!». Niente. «Libera!». La terza è quella buona, il cuore ricomincia a pulsare e la vita torna a scorrere. Ora, il corpo in questione è la sinistra italiana (a tutti i livelli: giovanile, partitica, sindacale) e la scarica elettrica che rianima le membra frolle del (quasi) cadavere è la questione palestinese.
Ormai totalmente incapace di pensare in termini sociali e collettivi, la sinistra degli ultimi anni, molto liberal e molto liquida, si era risolta in una sorta di grancassa delle questioni di genere e dell’accoglienza a tutti costi. Ma il primo tema è entrato ormai in riserva, mentre il secondo è diventato impresentabile: in una città come Bari dove le tre principali piazze del centro - dalle 21 in poi - sono ormai precluse al passeggio dei cittadini (pena una coltellata o una bottigliata in testa) è un po’ difficile continuare a saltellare qui e là cantando «accogliamoli tutti». Non ci provano nemmeno più. Rimangono un po’ di vecchie conserve in dispensa (a cominciare dall’antifascismo che è come il miele, non scade mai) da impastare con le beghe del Campo largo per apparecchiare... il trionfo nazionale delle destre da qui a cinquant’anni.
Ma poi arriva Gaza. E il cadavere si rianima, la sinistra si riattiva. Tornano i cortei, le piazze, gli scioperi. «Palestina libera», certo. Ma anche la convinzione di poter mettere in difficoltà il governo Meloni, travolgendolo con l’onda gazawi. Questo, però, è un errore di valutazione. E non perché l’esecutivo si stia distinguendo per una politica estera convincente. Tutt’altro. Dal bacio di Biden in giù, la Meloni ha dato negli anni il peggio di sé. Aveva promesso politiche sovraniste, il riscatto della colonia-Italia, l’interesse nazionale prima di tutto. Ammirava Putin, voleva distruggere l’Europa e ricostruirla. Ora stappa se Fitto viene eletto vice presidente della Commissione, manda gli F-35 a intercettare i droni sul confine est della Nato, giustifica qualsiasi cosa piova da Washington, anche la più strampalata. Certo, il governo italiano - ben più di altri Paesi - sta cercando di aiutare i palestinesi aprendo corridoi, curando gli ammalati, paracadutando aiuti. Ma a bassa voce. Quasi di nascosto. E infatti non lo sa nessuno. Probabilmente nel terrore che l’alleato israeliano, fra un genocidio e un bombardamento, inizi prima o poi a manifestare disappunto (non sia mai...). Sono scelte di campo naturalmente, in teoria tutte legittime se non si fosse usato il voto sovranista come un taxi, illudendo gli elettori su rivoluzioni prossime venture per poi comportarsi come un Renzi qualsiasi.
Dunque, per tornare ai movimentismi della sinistra, il fianco scoperto c’è. E tutti ci si stanno buttando a capofitto. Anche perché, oggettivamente, una come Elly Schlein - per propria natura - si trova molto più a suo agio a ballare su un carro del Gay Pride o a urlare «Free free Palestine» che a mediare fra Emiliano e Decaro o fra Fico e De Luca. Così come i sindaci hanno capito che buttarla su Gaza è un modo estremamente semplice, quasi senza costi, per prendersi le prime pagine dei giornali e spedire il dibattito nell’iperuranio. Il che è sempre più agevole che discutere di strade pedonalizzate, cantieri infiniti e raccolte di rifiuti che non funzionano. Gaza è una grande forza propulsiva, ma anche una grande furbata.
Una furbata, però, destinata a risolversi in un auto-sabotaggio. La lezione delle Marche, dove il candidato in kefiah è stato spedito a casa con otto punti di distacco, dovrebbe aver insegnato qualcosa. «Palestina libera», d’accordo, ma dare l’impressione di occuparsi più del genocidio di Gaza che dei problemi dei cittadini prelude a mal di pancia e batoste (la politica è percezione, si sa). Prenda nota il sindaco di Bari, Vito Leccese, molto esposto sul tema, ma prenda nota anche il leader della Cgil, Maurizio Landini, lestissimo nel cavalcare la protesta e proclamare lo sciopero generale con toni apocalittici da battaglia campale (contro la Legge Fornero furono fatte tre ore di sciopero...). Nell’Italia della deindustrializzazione, dei precari, delle pensioni minime, dei giovani in fuga, del welfare che arretra, dell’autonomia, dell’inflazione, più o meno tutti si sono precipitati a ricordargli che le sue battaglie campali dovrebbero essere altre. E infatti i numeri dello sciopero, almeno in alcuni settori, sono stati poco esplosivi: non perché ai lavoratori non importi del genocidio ma perché un operaio vorrebbe essere mobilitato su altro. L’approccio spesso non piace. Così come non piacciono gli insulti e le sassate alla polizia. O iniziano a scocciare le performance di Francesca Albanese, la relatrice speciale dell’Onu sanzionata dagli americani, ormai diventata una onnipresente Madonna pellegrina: in pochi mesi è riuscita a passare da madrina della causa palestinese a dispensatrice di bacchettate e di «perdoni» a favor di uditorio, manco fosse il Papa. La soglia dell’insopportabilità sta per essere superata.
Insomma, in questa storia internazionale che è diventata una rissa tutta italiana, non c’è nessuno che si salvi. A salvarsi in altro senso, probabilmente, sarà solo il governo, passata l’onda lunga della mobilitazione. Anche se non lo meriterebbe. I più anziani ricorderanno. C’era una volta una destra filo-araba, e non marginale, che ricordava l’arruolarsi dei palestinesi nelle Waffen SS (eh sì...) e il ruolo determinante di Stalin nella nascita di Israele. Oltre alla natura nazionalista della causa palestinese. Dov’è finita? La varia (e discutibile) umanità progressista, come è stato scritto, ha comunque sfidato in mare aperto l’esercito più feroce del mondo. I ragazzi di destra vicini all’esecutivo, anziché pungolarlo, si mettono in giacca e cravatta a difendere «l’equilibrio» (che nessuno sa cosa sia, se non una indiretta autorizzazione al massacro). C’era una volta una destra diversa. «Libera...».