L'analisi

Le stragi e il dolore in quel presente che corre motorizzato

Enzo Verrengia

La strada e l’automobile compongono un’entità a idrocarburi, che si articola con le corse su quattro ruote. L’energia talvolta ancora adolescenziale di chi si mette al volante innerva nel meccanismo organometallico un tasso di rischio spinto all’estremo

Gioventù bruciata? No. E non per la ribellione generazionale che il regista Nicholas Ray mostra nel suo capolavoro del 1955 come classico del comportamento valido per ogni epoca. Dai tardi anni Settanta, con il riflusso, le fiamme evocate da quel titolo diventano reali e non più metaforiche. Divampano dai rottami delle auto incidentate nelle corse del sabato sera verso e dalle discoteche.

I quattro giovani tarantini che si piangono all’indomani dell’ennesima strage automobilistica allungano la lista delle vittime di un presente motorizzato che conferma la distopia di James G. Ballard in Crash, pubblicato nel 1973, da cui nel 1997 trasse l’omonimo film il canadese David Cronenberg.

La strada e l’automobile compongono un’entità a idrocarburi, che si articola con le corse su quattro ruote. L’energia talvolta ancora adolescenziale di chi si mette al volante innerva nel meccanismo organometallico un tasso di rischio spinto all’estremo.

È del 14 ottobre dello scorso anno la tragedia dei tre giovani tifosi di Foggia periti in un impatto frontale sulla Potenza-Melfi dopo la partita di calcio fra le squadre del capoluogo dauno e quello lucano.

L’espressione «morti del sabato sera» condensa nei media il fenomeno di una generazione precocemente autotrasportata, che durante il fine settimana affolla i nuovi templi del ballo ultratecnologico. L’Altro Mondo Studios di Rimini acquisisce ben presto il ruolo di cattedrale profana di un culto sempre più diffuso. Sul grande schermo imperversano le evoluzioni di Tony Moreno, la creatura che farà di John Travolta l’ennesima icona postmoderna.

Sulle piste dei locali che cementificano le periferie, migliaia di emuli prolungano la notte nei fasci dei laser multicolori, nei suoni dei mixer manipolati vorticosamente dai disc-jockey e nelle misture dei cocktail più fascinosi per le voglie inebrianti. Poi arriverà anche l’ectasy a dilatare le potenzialità psicotrope di questi paradisi artificiali 4.0. E non c’è ancora la movida.

Giuliano Zincone pubblica sul Corriere della Sera l’ormai celebre editoriale «Orfani», dove segnala l’emergere di una gioventù refrattaria all’idealismo e alle ideologie del ‘68 e del ‘77, votata unicamente all’edonismo. Quest’ultimo «arricchito» dall’aggettivo «reaganiano», così definito da Roberto D’Agostino all’epoca di Quelli della notte.

Attenzione, però, a non chiamare sul banco degli accusati i diretti protagonisti. Afferma Paolo Crepet: «Io andavo a scuola da solo e non succedeva niente. Ma che dovrebbe succedere? Le stragi? È divertente andare a scuola da solo. Incontri gli amici e le amiche, fai quattro chiacchiere, c’è quello più ferrato in matematica che ti dà dei consigli. La scuola è anche questo». Si riferisce all’iperprotezionismo attuale dei genitori, giunto all’apice nel corso del primo lockdown imposto dal Covid, cui corrisponde l’eccesso opposto della libera uscita del sabato sera.

Appare in questi giorni il nuovo romanzo di Carlo Lucarelli, Almeno tu. Emblematico per inquadrare il problema. Vittorio, a tratti narratore in prima persona, a tratti protagonista raccontato dall’esterno, ha per idolo la figlia Elisa.

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