L'analisi

Discussioni tra potenti in tv e «guerre d’opinione»: sui post un problema di punteggiatura

Pino Donghi

La fuga in abisso degli infiniti commenti con i quali ci confrontiamo sui social, non risparmia alcuna tipologia di conflitto: da quelli politico-militari a quelli tra i partiti, fuori a dentro le coalizioni, nello sport, nei costumi, nel mondo della cultura

In un’indimenticabile sequenza de I soliti ignoti di Mario Monicelli, Tiberio/Marcello Mastroianni, con il braccio ingessato, Peppe er Pantera/Vittorio Gasmann e il mitico Capannelle, nel tentativo di raggiungere la cassaforte che hanno deciso di rapinare, si ritrovano bloccati sopra un tetto-lucernaio dove, dalla stanza sottostante, ascoltano due innamorati litigare: «… è perché non sei stato sincero con me! No, sei tu che non sei stata sincera con me! No, tu non sei stato sincero con me…»: scuotendo la testa e con un gesto della mano rivolto agli altri compari, lo sconsolato Capannelle lascia intendere che ci sarà da far notte, prima che i due piccionicini facciano la pace.

Chi ha cominciato? È sempre un problema di punteggiatura. Così, agli inizi degli anni ‘60 dello scorso secolo, lo definirono gli esponenti della cosiddetta Scuola di Palo Alto, un centro di ricerca cresciuto intorno al Mental Research Institute della cittadina californiana (di passata, non lontana da Stanford e da Menlo Park, dove sono nate Google e Facebook, aree in cui il 70% della popolazione ha una laurea incorniciata sul muro): si chiamavano, tra gli altri, Gregory Bateson, Paul Watzlawick, Donald deAvila Jackson, ed erano tutti debitori della teoria della Gestald di Fritz Perls.

Tra i molteplici contributi che hanno accompagnato quel periodo di feconde discussioni, nel tentativo di risolvere disagi e conflitti della sfera psichica, torna utile la riflessione su quello che, a Palo Alto appunto, identificavano come «il problema della punteggiatura». La soluzione di qualsiasi controversia, da una discussione in famiglia ad un conflitto sociale, fino ai combattimenti armati, tra fazioni o Stati, appare ai «belligeranti» in conseguenza del «punto» che ognuno mette indicandolo come quello iniziale. Per fare un esempio sufficientemente lontano dalla nostra conflittuale attualità: la seconda guerra mondiale di cui, fra un paio di mesi, si ricorderanno gli ottanta anni dalla conclusione, è cominciata il 1° settembre 1939. La storia, il punto lo mette lì: ne consegue, nei manuali, chi fosse l’aggressore e chi l’aggredito. Dopodiché, la Storia e gli storici continuano ancora oggi a discutere del contesto e delle motivazioni. In altre parole, se quel conflitto non fosse stato concepito, preparato (magari per qualcuno, previsto) fin dal Trattato di Versailles: è evidente che se il punto lo si mette il 28 Giugno 1919, le interpretazioni cambiano, quantomeno si fanno più sfumate.

La fuga in abisso degli infiniti commenti con i quali ci confrontiamo sui social, non risparmia alcuna tipologia di conflitto: da quelli politico-militari a quelli tra i partiti, fuori a dentro le coalizioni, nello sport, nei costumi, nel mondo della cultura, alta o pop, sovente registrando un tasso di violenza e intolleranza verbale che non sono giustificabili. Prima dell’avvento delle piattaforme, potevamo lamentarci, con qualche ragione, dell’indifferenza e insignificanza delle nostre opinioni, con le quali, al massimo, ci capitava di intrattenere (e magari vessare) parenti e amici; oggi, dal nostro personale balcone-bacheca-account siamo liberi di dire la nostra. Che è un bene, al minimo un’opportunità. Sicché, finalmente, fatalmente, il nostro «post» mette un punto: la discussione, per noi, comincia da quel momento e a quello va riferita: incessantemente, in-nonpiù-discutibilmente. Prima vivevamo la frustrazione di chi può solo leggere e ascoltare, che però ci obbligava ad elaborare ciò a cui, giocoforza, dovevamo prestare attenzione; oggi chiediamo ascolto, pretendiamo attenzione e qualsiasi cosa accada non può che essere interpretata a far data dal momento in cui abbiamo espresso il nostro… punto di vista.

Non meraviglia che qualunque nuovo fatto, come il già iconico incontro-scontro nella sala ovale tra il Presidente Donald Trump e il Presidente Volodymyr Zelensky, possa essere indicato da tutti a emblema delle proprie ragioni, per quanto diametralmente opposte. «È successo quello che scrivevo già un anno, due anni, tre anni fa…», si legge per ogni dove e da parte di tutti. Ci vorrebbe un rigurgito di sincerità. Sicché: «… tu non sei stato sincero con me! No, sei tu che non sei stata sincera con me…».

Affacciati, sconsolati, ci tocca scuotere le mani e la testa come il povero Capannelle.

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