la riflessione

Così lo Stato di diritto finisce nella mani degli autisti dei ministri

Ettore Jorio

In un Paese patria del diritto, lo Stato di diritto è il modello che lo rappresenta. Ogni individuo, proprio per le garanzie dei Padri costituenti, gode di protezione globale

In un Paese patria del diritto, lo Stato di diritto è il modello che lo rappresenta. Ogni individuo, proprio per le garanzie messe sulla carta dai Padri costituenti, gode di una protezione globale, tale da negare ogni uso arbitrario del potere da chicchessia. A chi esercita il potere è dunque impedito dalla Costituzione di incidere sui diritti politici e civili di base, prioritariamente sulle libertà.

Un tale paradigma esige dunque da chi esercita il potere legislativo il rispetto di una siffatta regola, non solo nel senso di fare leggi che tutelino, senza condizionamento alcuno, lo Stato di diritto. Non solo. Con l’obbligo di chi esercita gli altri due poteri che lavorino nel senso di attuare e applicare correttamente il prodotto normativo delle Camere, promulgato dal Capo dello Stato. Compiti non facili, allorquando si registrano ritardi di attuazione notevoli che rintracciano le relative responsabilità nell’Esecutivo e nell’impegno della burocrazia impegnata ai più alti gradi di livello governativo. Ritardi che possono essere determinati ovvero generati anche dalle Regioni, specie nelle ipotesi in cui tocca a queste ultime di legiferare del dettaglio nelle venti materie concorrenti. Così come nelle leggi di competenza residuale esclusiva regionale regolative di numerosissime materie (ben oltre 30) che, se non disciplinate, impediscono esigibilità di diritti importanti alla collettività territorialmente governata.

Giusto per dare una idea dei ritardi attuativi: in riferimento alla legge di bilancio per il 2025 sono stati approvati alla fine di gennaio scorso solo tre provvedimenti su 111; in materia sanitaria, sulla urgenza di abbattere le liste di attesa, ad oggi solo un decreto attuativo sui sei ritenuti necessari; in termini assoluti, nella primavera inoltrata dello scorso anno, erano oltre i 520 i decreti attuativi mancanti all’appello.

Cioè, si fanno le leggi - molte della quali (specie quelle di conversioni) infiltrate da vergognosi emendamenti ad personas e da frequenti regolazioni contra legem e contrari a principi generali nazionali e internazionali - che si lasciano tuttavia prive degli atti di secondo livello (DPCM, DM, regolamenti eccetera). Quegli strumenti, per lo più di carattere normativo, indispensabili per disciplinare le applicazioni e gli aspetti tecnico-burocratici. Il tutto impeditivo, qualche volta sospettosamente volontario, della cosiddetta messa a terra delle leggi, tale da ridurle ad una mera teoria improduttiva. Un Paese così non può assolutamente funzionare, lasciato in mano ai più alti burocrati che governano. A quelli che decidono non solo nell’attuazione delle leggi, ma delle leggi stesse atteso che a loro viene demandato il compito di prepararle.

Un mio vecchio amico, allora di area ministeriale, mi disse – per spiegarmi come i contorni fossero più importanti dei primi piatti - di come fossero noti e ricchi gli autisti dei ministri dell’economia e finanza. Ciò in quanto strappano in auto, ascoltando le telefonate dei capi del dicastero (ministro e capogabinetto compresi), le decisioni imminenti su temi afferenti a grandi società quotate ma non ancora formalizzate. Tanti aureum nuntium da passare ad agenti di borsa per effettuare speculazioni di alto livello, addirittura prima di ogni sentito dire, a fronte dei quali essere sensibilmente retribuiti.

Su questa storiella (che tanto storiella non è) occorrebbe riflettere di quante responsabilità vengano assegnate alla politica che governa, sulla quale a pesare sia la burocrazia, quella che nella sostanza decide facendo spesso il decisore politico «fesso e contento» ovvero, a secondo dei casi «cornuto e mazziato».

Una cosa è certa, che i destinatari delle leggi non possono essere trattati né da fessi e né tampoco da mazziati. Specie di quelle che sono destinate a cambiare in meglio, e sono rarissime, la vita dei cittadini. Basta vedere, al riguardo, l’attuazione dei Lep e del federalismo fiscale. Dall’ottobre 2001 in campo costituzionale. A tutt’oggi allo stato terorico puro. Con l’uguaglianza a l’uniformità, persino dei Lea, andata a farsi benedire. Con la spesa storica che governa, per modo di dire, la spesa pubblica, effettuata con tanti buchi alla finestra che ne lasciano andare al vento una parte consitente.

Una soluzione innovativa e provocatoria, ma molto teorica e certamente ideologica, potrebbe essere quella di pervenire ad un diverso esercizio delle opposizioni, chiunque esse siano: quello di ficcare nei vuoti attuativi delle leggi proponendo alle Camere testi regolativi segnatamente autopplicativi ovvero modificativi di quelli esistenti al fine di attenuare il rinvio ad libitum a provvedimenti applicativi del Governo e della burocrazia. Ciò allo scopo di stigmatizzare e rimediare all’abituale fermo dei lavori della burocrazia. Così come di proporre e sollecitare, con leggi fuori dall’ordinario, l’arrivo dei diritti nelle case degli italiani. Un rispetto assoluto dello Stato di diritto, sino a ricorrere anche ai miracoli.

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