l'analisi
Quella polpetta avvelenata servita al governo (non a caso) sul caso Almasri
Non c’è alcun dubbio che il governo Meloni si trovi sui carboni accesi per l’affaire Almasri. E non solo.
Non c’è alcun dubbio che il governo Meloni si trovi sui carboni accesi per l’affaire Almasri. E non solo. In tal senso, parliamo del caso Caputi, delle chat dei Fratelli d’Italia pubblicate in un libro e dell’affaire Paragon, ma questi casi, però, sono altri accadimenti che prescindono dalla tanto discussa partenza dall’Italia del comandante libico Almasri.
Non stiamo a discutere su tutto quello scritto sui quotidiani e parlato nelle tv, compreso il fatto di non aver messo il governo il segreto di Stato, un errore madornale, bensì, su alcuni lati oscuri della vicenda del comandante libico su cui gli unici a parlarne sono stati Nicola Gratteri e Paolo Mieli. Il quale Mieli non è l’ultimo arrivato, ma ha scienza e coscienza di parlare in modo avveduto, essendo stato direttore de La Stampa e del Corriere della Sera, di cui ora fa l’editorialista ed è uno stimato storico. Insomma, ne ha viste di cotte e di crude. Non si può dire che sia vicino alla destra e alla presidente Meloni, essendo uno che vota Partito democratico e il suo endorsement nei confronti della Elly Schlein è noto, anzi, stranoto. Cosa ha detto Mieli, in una trasmissione televisiva - Otto e mezzo de La7 - non può non farci riflettere: «C’è qualcosa di torbido, qualcuno ha tirato un pacco a Giorgia Meloni». Secondo lui, il «Qualcuno» è un «italiano».
Mieli prende al volo ciò che disse, nella medesima trasmissione una settimana prima, il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, di cui si può essere d’accordo o in disaccordo, ma non lo si può accusare che abbia peli sulla lingua: «La Meloni su una cosa ha ragione sul modo di come è venuta fuori le notizie, dopo 12 giorni che Almasri era passato dall’Italia». Su questa constatazione di Gratteri, Mieli afferma che non ha prove, ma molti indizi assolutamente si. E si chiede: «La Meloni fu informata si o no? È stata lei che ha preso la decisione finale?». Cioè, quella di imbarcare Almasri su un aereo dei servizi segreti italiani e portarlo in Libia accolto da una folla giubilante. Della presidente Meloni, mettiamola così, si può dire tutto il male possibile e immaginabile, ma di una cosa bisogna darle atto: per sua natura è sospettosa, per cui attenta a controllare dalla a alla z tutto, ragion per cui, non perde tempo a leggere il mattinale o dossier, che dir si voglia, preparato dai servizi, giornalmente. È la prima lettura che fa prima di mettersi a lavoro, a Palazzo Chigi. Eppure, c’è qualcosa che le è sfuggita pur controllando gli apparati di sicurezza tramite, Alfredo Mantovano, suo braccio destro preparato, incorruttibile, trasparente come pochi e conoscitore degli ingranaggi che muovono la macchina dello Stato. Il che significa che nel deep state ci sarà «Qualcuno» per dirla con Mieli, che non gli va giù il cambiamento del personale nei servizi segreti e trama nell’ombra e ha preparato il trappolone servendosi del tour europeo di Almasri. Il cui viaggio inizia e finisce in Italia, dove viene arrestato per ordine della Corte penale internazionale, con sede all’Aia. In 12 giorni, alcun paese visitato dal capo della polizia giudiziaria libica nonché responsabile della prigione di Mitiga di Tripoli, - dove i detenuti, innanzitutto, migranti sono torturati -, se ne infischia di lui. Epperò, solo e soltanto, quando, per la seconda volta, mette piede, in Italia, a tamburo battente arriva dal Cpi l’ordine di arrestarlo mentre sta in albergo con tre altre persone. Guarda caso, fermato dagli investigatori della Digos, nel corso di un controllo di routine. Manco farlo apposta di «routine». Insomma, Almasri atterra, in Italia, e i servizi segreti guardano altrove, così quelli europei e, alla fine, la Germania, in modo non casuale e a tempo scaduto, informa il Cpi che invia il mandato di cattura. Assurdo.
Almasri ha girato, in lungo e in largo, per i paesi europei con il bollino blu, messo piede, a Torino, per godersi lo spettacolo della partita di calcio, Juventus contro il Milan, d’incanto, il bollino diventa rosso, la condizione per la quale il Cpi ordinò l’arresto. Una vera «polpetta avvelenata» preparata contro il governo Meloni da «Qualcuno» autoctono, in difesa dello status quo ante. Sono gli ultimi colpi di coda dell’anciem regime. Il Novecento, con una lunga coda nel XXI secolo, ha chiuso un’epoca e se ne sta aprendo un’altra dagli orizzonti non del tutto chiari , secondo la vulgata dominata dalla «tecno destra». Ma questa è un’altra storia.
Ritornando sui nostri passi, soffermiamoci sul fatto abbastanza strano che a dare la notizia per primo è il giornalista dell’Avvenire, il quotidiano della CEI, Nello Scavo, sempre in guerra contro coloro che combattono i trafficanti di esseri umani, in Italia, in virtù dell’accoglienza. Come mai Scavo per primo? E da chi ha avuto l’informazione dell’arresto? Questo è uno dei tanti interrogativi, a nostro parere. Ancora. Nel deep state, nello Stato profondo, ci sono, come visto, delle altre oscure vicende a mo’ di matrioske russe. Troppe agenzie investigative e non che spiavano - Equalizie, squadra Fiore, Paragon Solution - con agenti in servizio e con ex agenti che agivano per conto di chi? Finiamola di dire «servizi deviati», cui non abbiamo mai creduto. I processi sulle stragi degli anni ‘60 e ‘70 parlano chiaro. In ultima analisi, non scordiamoci della presenza molto attiva della FSB, i servizi segreti russi: dal caso dei comici russi che colloquiavano con la Meloni spacciandosi per ciò che non erano alla fuga dell’imprenditore - spia russo Uss ai domiciliari in una cascina vicino Milano e all’ufficiale della Marina spia dei russi. Prima di questi episodi, nel corso del Covid, grazie all’ex presidente Conte vennero in Italia dei militari - ? - se non agenti segreti che giravano l’Italia, liberamente, scattando foto e filmando le nostre zone militari.
Non è la solita leggenda metropolitana, ma ci sono dei «poteri invisibili», ossia «Qualcuno» che la Meloni deve individuare a smantellare, qui e ora, annidati negli apparati opachi in lotta tra loro. Se il governo vuole andare avanti deve «bonificare» la parte inquinata del deep state con i suoi apparati, altrimenti, ha i mesi contanti, o, meglio, potrebbe anche arrivare sino alla fine legislatura, però, «ecce homo». Sembra un romanzo o un film noir, purtroppo, è un affaire con un’altra narrazione basata su fatti realmente accaduti.