la riflessione
La banalità del male e la repressione a 80 anni dalla Shoah
Con il fascismo e il nazismo l’umano ha superato il disumano. E un altro aspetto sul quale è opportuno soffermarsi è caratterizzato dalla sottomissione della donna
Il 27 gennaio 1945 è memoria: giorno in cui fu liberato il campo di concentramento e di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau, sancendo la fine dell’Olocausto, considerato dall’Unesco «Giornata mondiale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto», viene ricordato ogni anno puntualmente e vengono trasmessi in tv film, divenuti oramai simbolo di cotanta efferatezza.
Anche quest’anno, trascorsi 80 anni dalla fine della dittatura nazi-fascista e dei conflitti mondiali, si ricorderanno (probabilmente con maggiore intensità) le atrocità commesse al popolo ebraico, considerato il «nemico», da una politica di regime che ha coinvolto e condizionato il pensiero di intere popolazioni, dapprima attraverso una capillare informazione, poi con la violenza, persuadendo l’opinione pubblica che fosse «la verità» e che il loro sterminio sarebbe stato la risoluzione di ogni male. Ebbene, ho rivisto il film Il bambino col pigiama a righe (prodotto nel 2008, dal regista inglese Mark Herman). Tra il racconto scenico e quello storico certamente sono emersi chiari degli aspetti nefasti che è opportuno puntualizzare per riflettere insieme, oltre alla disarmante violenza e a una dolorosa accettazione del destino: non si tratta semplicemente di «banalità del male», o di «male radicale», bensì si è di fronte all’esasperazione del male, ovvero alla perversione, quella parte diabolica dell’umano che giace nell’abisso fumante dell’anima e che può dar vita ad azioni che la ragione inorridirebbe e il cuore non accoglierebbe. È emerso il progetto iniziale del regime nazista: individuare il colpevole, parlarne male, facendo credere che lo sia davvero. Con il fascismo e il nazismo l’umano ha superato il disumano. Si è attuato un disegno perverso, subdolo, oltre ogni confine dell’umano.
Un altro aspetto sul quale è opportuno soffermarsi è caratterizzato dalla sottomissione della donna: non decide, ma soccombe a un ruolo prevaricante, virile, senza paura, che è quello maschile. La donna doveva obbedire come i soldati. E infatti, una risposta che emette il comandante di un campo cosiddetto di lavoro che dirigeva nella vicina Berlino era: «Io sono un soldato, devo obbedire a degli ordini». «Obbedire, non devo fare altro!». E allora verrebbe da gridare: «Disobbedite, Disobbedite!», lo dicevano Thoreau, Arendt: «Disobbedite al potere». Disobbedite a chi impone le proprie ragioni, affinché le altre siano messe a tacere. Disobbedite, per pensare. Cercate le verità. «Sapere aude!». Abbiate il coraggio di usare la ragione. Sempre. Di essere ragionevoli per tenere in equilibrio pensiero e azione che non possono avere come obiettivo quello di distruggere l’altro, individuandolo come nemico.
Molti e tante purtroppo nel quotidiano della propria personalità sembra seguano questa direzione, senza sapere che ciascuno è nemico di sé stesso, delle proprie insoddisfazioni, frustrazioni, insensatezze. Se ciascuno fosse risoluto, guarderebbe l’altro con occhi di stima e fratellanza, non di odio. Ma di rispetto nei riguardi dell’alterità. E attualmente sembra che odio ce ne sia tanto, troppo, che racchiude invidie verso l’altro, talvolta, dove l’individuo egoico farebbe o fa di tutto pur di imporre sé stesso e raggiungere il successo, il potere, consolidarlo. E allora occorrerebbero responsabilità individuale e collettiva, maturità intellettuale, spirituale, quella responsabilità di riconoscersi e accettarsi, di sapere quando è il caso di fare un passo indietro. Responsabilità verso i bambini che anche nel Il bambino col pigiama a righe si disvelano nella loro disarmante ingenuità: sono vittime, la cui innocenza paga e si perpetua il loro sacrificio per la malvagità degli adulti. E poi ancora, responsabilità soprattutto verso un dramma superato, le cui ceneri sono però fumanti e come un vulcano non resta spento in eterno, così alcune ideologie, si può controllarle, sì, si devono costruire steccati solidi per limitare e spegnere il nefasto: manifestazioni, atteggiamenti, parole, che richiamano alla memoria un linguaggio di potere e sudditanza, di dominio e sopraffazione. Ciò risulta un attacco allo Stato democratico fondato sulla Costituzione e sulla Res-pubblica; mentre, tutti noi cittadini dovremmo impegnarci a diffondere parole di buon senso, a invitare innanzitutto a usare la ragione critica e la sensibilità, a comprendere, a studiare, a conoscere, affermando con consapevolezza che i nemici non sono gli altri, né i più belli, i più capaci, o i più ricchi, ma che ciascuno è debitore di una vita che deve saper coltivare, gettando dapprima il seme buono atto a far crescere una pianta rigogliosa in un giardino, la società, dove le leggi non sono le sole a regolamentare l’agire sociale, se dapprima non si insegna a dare un senso alla propria vita, a vivere con coscienza e consapevolezza nella libertà di essere cittadini responsabili, che non hanno bisogno di violenza per far conoscere i propri pensieri, affermare i propri diritti, né tantomeno di essere messi a tacere con metodi repressivi.