L'analisi
Altro che uomo in rivolta: la corsa di Landini è a chi le spara più grosse
Da parte del leader di Corso Italia, è stato un crescendo rossiniano nel spararle grosse: passando dalla «rivolta sociale» a voler «rivoltare l’Italia come un guanto» e ad accusare il governo di «una svolta autoritaria»
Albert Camus si sta rivoltando nella tomba, dal momento il cui il segretario generale della Cgil si è ispirato al romanzo L’uomo in rivolta, per lanciare la sua sfida: «La rivolta sociale» al governo Meloni cui ha regalato il testo, nel corso dell’incontro di Palazzo Chigi. L’uomo in rivolta ha una chiave di lettura, che non è per nulla quella che vuole far intendere Maurizio Landini. Storicamente, si è passati dalla marxiana lotta di classe al riformista confronto sindacale, per finire, alla landiniana «rivolta sociale». Cosi facendo, leninisticamente parlando, il leader della Cgil fa «un passo avanti e due indietro», rispetto alla cultura sindacale della Cgil.
Da parte del leader di Corso Italia, è stato un crescendo rossiniano nel spararle grosse: passando dalla «rivolta sociale» a voler «rivoltare l’Italia come un guanto» e ad accusare il governo di «una svolta autoritaria». Sentir parlare di «rivolta sociale» vengono i brividi, dal momento in cui ricorda gli «Anni di piombo», nondimeno ascoltare da un leader sindacale, per giunta modesto, l’infausta frase detta ,in altri tempi e in altri luoghi, da un moralista moralizzato, il cui rivoltamento non era il «guanto» ma il «calzino», il cui indumento non gli ha portato la fortuna sperata. Dulcis in fundo, la «svolta autoritaria», tant’è che viene smentito dallo sciopero generale, in cui ha aderito il 70% dei lavoratori e tutti hanno detto in libertà la loro, alcuno escluso. All’informazione, peraltro, non è stata messa la mordacchia e il Parlamento non è un’ «aula sorda e grigia, un bivacco di manipoli».
Beninteso, è una escalation di frasi fatte e di scioperi programmati nel mese di dicembre. Se dobbiamo dirla tutta, non abbiamo capito dove Landini vuole arrivare surriscaldando, eccessivamente, il clima politico e sociale. Sennonché, già abbiamo la violenza dei cortei praticata dai gruppuscoli estremisti e se ci si mette anche Landini a soffiare sul fuoco, avremmo, come minimo, i gilet gialli come in Francia. Di questa situazione, si esce condannando la violenza e non legittimandola con il silenzio. Di ciò si è fatta carico la maggioranza, che ha fatto il suo dovere condannandola, ma anche la leader del primo partito di opposizione deve fare lo stesso. Piaccia o no, ci vuole una condanna bipartisan.
Una cosa è certa che sta riproponendo la Cgil «cinghia di trasmissione», una volta al servizio del Pci, oggi, del Partito democratico della movimentista woke, Elly Schlein. A Corso Italia, prima di Maurizio Landini c’era stata Susanna Camusso, - passata dal sindacato al Parlamento sul conto del Pd come tutti i segretari generali della Cgil alla scadenza dei due mandati - che strizzava l’occhio al M5S, i cui esponenti venivano invitati in tutte le manifestazioni cigilline. Nondimeno, Landini, per il suo rapporto con il populismo sindacale dei 5S, date le sue caratteristiche movimentiste. Contro di lui, nella competizione per la segreteria generale della Cgil, al Congresso di Bari, il più istituzionale e il più riformista, Vincenzo Colla, il candidato del Pd post Renzi, pure lui di provenienza Fiom, rappresentante della tradizione storica cigillina. Epperò, ha vinto colui che ha una certa «separatezza» con la tradizione non massimalista della politica sindacale iniziata con Giuseppe Di Vittorio e continuata con Luciano Lama e Bruno Trentin e tanti altri riformisti idee socialisti venuti prima e dopo di Landini.
Alla luce dei fatti, ciò che unisce Landini alla Schlein è il movimentismo. Il segretario Cgil indice gli scioperi e la segretaria lo segue e lo copre politicamente. Recitazione a soggetto. Schlein: «Grave l’attacco della Meloni alla libertà di sciopero» e Landini di rimando: «Sugli scioperi c’è un attacco del governo ai diritti dei lavoratori». Tra i due c’è il convitato di pietra: PierPaolo Bombardieri, segretario nazionale dell’Uil, la cui cultura sindacale laico-socialista ha subito il cambio di pelle: da anti Cgil a prono Cgil.
Meglio chiarire che non si è per una politica antisindacale tantomeno per la cancellazione dell’articolo 40 della Costituzione: «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Non è tutto. Un altro aspetto di cui non si tiene conto, anzi, viene considerato come atto illiberale è la precettazione - legge 146 del 1990 -, allorché si ritiene che lo sciopero possa causare danni importanti ai sacrosanti diritti dei cittadini, come nel caso del diritto alla mobilità o alla continuità di servizi essenziali.
Come, del resto, è sacrosanto lo sciopero generale, ma la cui lettura è sempre politica e si indice come ultima soluzione e non come hanno fatto Landini e Bombardieri, convocando ben quattro scioperi generali, nell’arco che va dal governo Draghi a quello Meloni. E, per giunta contraddicendosi: scioperi generali, altresì, contro la disoccupazione che scende e l’occupazione che sale.