il commento

Migranti e «Paesi sicuri», non convince la posizione del Tribunale di Roma

Salvatore D’Alesio

Il ministro degli Esteri Tajani ha aggiunto Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka all’elenco dei Paesi sicuri. Il Tribunale di Roma lo contesta

Il 7 maggio scorso il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha, con apposito decreto, aggiunto Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka all’elenco dei Paesi sicuri, definizione che però il Tribunale di Roma contesta, poiché, nella scheda del Ministero degli Affari Esteri, si pone l’eccezione per alcune categorie di persone.

Queste eccezioni, affermano i giudici, non permettono di considerare il Bangladesh e l’Egitto come sicuri, e per sostenere tale tesi si cita una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, alla causa C-406/22, sentenza emessa il 4 ottobre scorso.

Il caso riguardava un cittadino moldavo che aveva fatto richiesta di asilo in Cechia. Il moldavo sosteneva di essere stato oggetto di pesanti intimidazioni dopo aver assistito a un incidente automobilistico nel 2015. La Cechia aveva rigettato la richiesta poiché la Moldavia è considerata un Paese sicuro con l’eccezione di una regione separatista, ossia la Transnistria. La Corte europea interpreta la Direttiva 2013/32 del Parlamento Europeo e del Consiglio, nel senso che non è possibile qualificare un Paese come sicuro applicandovi delle eccezioni territoriali.

Secondo i giudici lussemburghesi, infatti, l’articolo 37 della Direttiva 2013/32 dev’essere interpretato nel senso che «preclude che un Paese terzo sia designato come Paese d’origine sicuro laddove certe parti del suo territorio non soddisfino le condizioni materiali per tale designazione, enunciate nell’Allegato 1 di quella direttiva».

L’allegato 1 alla Direttiva illustra tali condizioni, ossia che, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni, quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Si rileverà che la Corte esclude che un Paese sia sicuro in presenza di parti del suo territorio che non soddisfino le condizioni predette. Ma il Ministero degli Esteri, rispetto al Bangladesh e all’Egitto, non ha individuato eccezioni territoriali, bensì di categoria. Il Tribunale di Roma si richiama però al punto 68 della sentenza della Corte UE - che sostanzialmente riporta l’Allegato 1 alla Direttiva 2013/32 - per affermare che l’esclusione delle eccezioni territoriali varrebbe anche per le eccezioni relative a categorie di persone. Sta di fatto, però, che, nel punto 68, non c’è nessuna esplicita menzione di ciò. Pertanto, la ricostruzione del Tribunale di Roma non persuade. Cosicché, è impossibile concordare coi giudici romani che il punto 68 (e dunque l’Allegato 1) davvero «chiariscano» ciò.

La Corte di Giustizia dell’Ue si è pronunciata esplicitamente solo sull’esclusione di eccezioni territoriali. Asserire che il punto 68 della sentenza escluda ogni altra forma d’eccezione è sicuramente controverso, anzi erroneo.

Rifiutare dunque la designazione come Paese sicuro sulla base dell’esistenza di eccezioni per categorie di persone (eccezioni contemplate dalla legge, come si è visto, e non esplicitamente prese in considerazione dalla Corte di Giustizia Ue) appare una evidente forzatura interpretativa da parte del Tribunale. Questo perché la sentenza della Corte Ue non parla di categorie di persone.

A rigore, la sezione specializzata romana avrebbe dovuto sollevare questione e chiedere alla Corte stessa se il principio dettato per il territorio si applicasse anche alle categorie di persone. Ma il chiarimento non è stato sollevato. Ne discende che ciò è anomalo.

In pratica, si è preferito dare per certa un’interpretazione a dir poco dubbia (e presuntuosa) del diritto Ue attualmente in vigore. La Direttiva 2013/32 fa inoltre riferimento a «persecuzioni generali e costanti». Persecuzioni che la Direttiva 2011/95, come già ricordato, definisce come «atti gravi di violazione dei diritti umani».

Gravità, costanza e diffusione generale sono caratteristiche tali da configurare una «persecuzione». Il Ministero degli Esteri non le ha ravvisate nel caso del Bangladesh e apparentemente nemmeno dell’Egitto. Di converso, il Tribunale di Roma non ha addotto nessun elemento di fatto in grado di provare il contrario.

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