L'analisi
Addio gossip e paparazzi: nella repubblica degli spioni siamo tutti «profilati»
Un popolo di spiati, diviso a metà tra i guardoni e i guardati. Un popolo di specchiettisti dei conti correnti, hacker digitali pronti ad entrare nelle segrete stanze di laqualunque, ricattatori che non vedono l’ora di esibire i segreti al malcapitato da estorcere
Un popolo di spiati, diviso a metà tra i guardoni e i guardati. Un popolo di specchiettisti dei conti correnti, hacker digitali pronti ad entrare nelle segrete stanze di laqualunque, ricattatori che non vedono l’ora di esibire i segreti al malcapitato da estorcere. E poi ci sono gli «osservati», quelli tenuti sempre sott’occhio da qualcuno e dove dentro c’è davvero di tutto: da quelli già abbondantemente «osservati» dalla magistratura, che vengono perfino pedinati per strada (come accaduto a Jacobini jr) a quelli che non vorrebbero essere osservati almeno nelle loro faccende private, ma che nel tritacarne social-mediatico ci finiscono perché sono «personaggi pubblici» e lo devono mettere in conto.
Qui dentro, poi, ci sono anche quelli che riescono a sfuggire a tutto: l’agenzia delle entrate, i creditori, le bollette da pagare, l’affitto di casa. E magari riescono a farlo per anni, finché un hacker o un impiegato di banca curioso o un semplice voyeurista, lanciando la rete per i suoi pescaggi on line, non li becca, arrivando lì dove lo Stato non arriva mai. E poi ci sono i militi ignoti: vita normale, reddito nella media, famiglia semplice, casa modesta, lavoro come tanti. Ma niente, non c’è scampo pure per loro: beccati, specchiettati, radiografati on line. Che non si sa mai, magari qualcuno pronto a «pagare» (il suo datore di lavoro che vuole sapere quanto produce, la moglie o il marito che si sentono traditi, il figlio che aspetta l’eredità) si trova sempre.
Un’epoca surreale stiamo vivendo, quella degli spioni e degli spiati. E non c’è scampo per nessuno, perché gira e volta siamo tutti «profilati». Ancora 10 anni fa andavano molto di moda le riviste di gossip, il voyeurismo su carta stampata che alcuni settimanali di grido («Visto», «Oggi», «Chi») rilanciavano realizzando tirature da urlo e arricchendo gli editori di turno con vendite che nemmeno gli ipermercati riuscivano a realizzare. Bisognava comprarli in edicola, o aspettare di sfogliarli in un parrucchiere, per sapere qual era l’ultima conquista dell’attore famoso, chi era la nuova amante del ballerino, dove aveva passato il weekend il politico o dove era andato in discoteca il calciatore. Tutti personaggi «pubblici», spesso catturati a loro insaputa (facendo la fortuna dei tanti, bravissimi, fotoreporter), talvolta col loro consenso pur di conquistare una vetrina (o copertina) e così allargare il loro grande pubblico.
Oggi il sig. Mario Rossi è «pubblico» quanto loro e, come tanti Mario Rossi, viviamo la nostra quotidianità sapendo che da qualche parte c’è sempre qualcuno che ti osserva, sa cosa ti piace mangiare, dove lavori o trascorri il tempo libero, quali paia di scarpe ti compreresti e quanti soldi hai in banca per permetterti un’auto. Se hai un cane o un gatto in casa, se tuo figlio è un neonato perché hai cercato on line un biberon o è un adolescente perché volevi comprargli una felpa. Se ti piacciono i concerti o i talk show, se la mattina preferisci il cornetto ai biscotti e la sera vuoi il pigiama di seta o di cotone. Se sei ipocondriaco o insonne, se hai paura dei raggi solari o degli spazi chiusi. Insomma, sa tutto di te anche non sei un personaggio pubblico, ma uno dei tanti Mario Rossi.
Tutti sanno tutto di tutti. Non solo gli hacker pagati da qualche multinazionale o assoldati - come pare emergere dalle recenti inchieste - insieme a funzionari di stato per carpire segreti. Non solo gli impiegati «infedeli» delle banche o i manager che vogliono sapere se stanno al passo con i loro omologhi di altre aziende concorrenti. Tutti sanno tutto. Tutti osservano tutto di tutti. E non c’è più bisogno di quelle riviste patinate per raccontare il gossip: ormai non vendono più e non ci sono sugli scaffali dei parrucchieri, dove l’attesa è ingannata col cellulare. Non ce n’è più bisogno perché tanto, Belen o Mario Rossi, Meloni o Tiziocaio, sono tutti profilati. E la celebre «casalinga di Voghera» non deve più comprare il settimanale per sapere di loro, i vip, le basta avere il pc del figlio a casa.
Il vero business di questa epoca così surreale è proprio questo: la profilazione. Per la gioia delle grandi marche che ti vogliono vendere l’insalata o le scarpe da tennis ma anche, e questo è decisamente più pericoloso, per la gioia dei patron dei «big data», come Musk con X o Zuckenberg con Facebook, perché i tuoi dati, le tue scelte, i tuoi orientamenti politici, sessuali, religiosi diventano, per loro, bottino economico. Da rivendere a palate, anche nelle scelte elettorali: per farsene un’idea, basta osservare il peso che Musk sta assumendo nelle elezioni americane per orientare gli Stati in bilico a votare per Trump.
Non c’è un «Grande fratello» modello Orwell in questo mondo, se questo può consolare qualcuno. Ma ci sono tanti «Grandi fratelli» che osservano tutto e tutti e hanno decisamente molto più potere dei Governi in carica o degli eserciti sul fronte, perché sono in grado nel migliore dei casi di realizzare immensi profitti con i profili di milioni di persone. Nel peggiore, di orientare quei profili a rovesciare uno Stato o carpire i segreti militari di una guerra in corso; condizionare il voto democratico o la cultura di un’intera generazione. E, col dilagare degli strumenti digitali che consentono tale attività, il rischio dei tanti, piccoli «grandi fratelli», è che alla regia di turno ti capiti pure un clan criminale, un’organizzazione terroristica oppure un semplice, oscuro impiegato di banca o un burocrate dell’amministrazione giudiziaria. Che non vede l’ora di rivendere tutta la tua vita a chi la paga meglio.