l'analisi

I limiti della vittoria nel conflitto tra Israele e Iran

Gianfranco Longo

Israele ha attaccato l’Iran. L’estensione del conflitto non rappresenta un allargamento della vittoria su quei nemici che hanno effettuato l’attacco del 7 ottobre 2023

Israele, infine, ha attaccato l’Iran. L’estensione del conflitto, però, e il suo portarlo a termine non rappresentano un allargamento della vittoria su quei nemici che hanno ideato, e poi effettuato, l’attacco del 7 ottobre 2023.

Hamas è stata debellata, ma è stata distrutta Gaza. Le due situazioni non avrebbero dovuto coincidere. Infatti la seduzione di una vittoria militare, transitoria, produce nuove contese e reciproche intese di guerre. Si scongiurava che Israele optasse di aggredire l’Iran, eppure «doveva» farlo prima dell’esito delle elezioni americane, probabilmente a favore di Trump, essendo il popolo americano ancora restio ad affidare a una donna il governo politico e militare. Si ritorna pertanto alle promesse di vendetta; e il fatto di averle rinviate, ma solo a breve termine, dimostra quanto una vittoria militare, e non politica, non delinei il termine di un conflitto, ma soltanto il posizionarsi della guerra verso nuove frontiere. Piuttosto bisognerebbe considerare cosa in questo caso suggeriscano il pensiero ebraico stesso, o anche quello mussulmano nel sufismo. Da un lato il concetto di vittoria, che implica nella mistica ebraica anche un senso di eternità, è considerato nella parola Netzach (Sal 16, 11; Is 25, 8-9); a tale concetto si raccorda, però, il concetto di amore (Chesed). Pertanto una vittoria lunga nel tempo, e storica, sarà quella dell’amore, vittoria, peraltro, che emerge unicamente da una lotta interiore dell’uomo e sforzo nell’essere paziente di fronte alla tragedia della storia e delle età.

Tuttavia la pazienza non è un’attesa che risponde a cogliere il momento più propizio per estendere la guerra. La pazienza è un frutto spirituale che produce a sua volta frutti (1Cor 13, 4-7), ed è esattamente la possibilità dell’uomo di vincere le sue passioni, perché sa che sarà l’amore a tradurre in speranza quella pace cui tanto l’uomo stesso anela. A tal proposito la mistica ebraica introduce un secondo concetto che è quello di bellezza (Tiphereth): ogni effimera illusione di vittoria, ogni infatuazione politico-militare di dominio, potranno essere superate e vinte proprio da quanto suggerito nel verso 11 del Salmo 16 che dice: «Vi sono delizie alla Tua destra in eterno». Il segnale della vittoria proviene perciò da una dimensione diversa che propone all’uomo del presente quella lotta cristiana in grado di coniugare alla bellezza la misericordia, senza confondere un suolo con un movimento politico terrorista come Hamas; senza sovrapporre a un territorio abitato da una popolazione vittima di Hamas, la caccia senza tregua al nemico, moltiplicando il nemico ovunque, senza più un limite, trasformando lo stesso concetto di frontiera, da linea di contenimento ad obiettivo di assalto, in una esclusiva dimensione di vittoria tramite il ricorso all’esercizio della forza militare.

Da un’altra prospettiva, quella della mistica mussulmana, coincidente al concetto di Netzach troviamo il concetto di al-Mujahdé (Corano, Sura IV, vv. 95-97; Sura XXV, vv. 51-56; e soprattutto Sura XXIX, vv. 45-51) che significa sforzo interiore – che è vera vittoria – con particolar riferimento alla forza della preghiera come strumento di difesa dal male: è un invito alla lotta ascetica mediante la quale è possibile compiere il raggiungimento della presenza di Dio in noi, trascendendo ogni legame con il mondano ed elevando il quotidiano a meditazione e a offerta a Dio. Per tale riuscita ci vuole pazienza, un’attesa che è vittoria quando unisce all’amare, azione di incontro verso qualcuno, quella speranza cristiana che piega nel «nemico» il rancore, perché si prega per lui (Mt 5, 38-48) e per la sua stessa attesa di pace. Ed allora iniziando a considerare la propria storia come un presente che volge all’eternità, come una lotta di redenzione che aspira alla bellezza di sé in cui si rispecchia la bellezza dell’altro nostro simile, troveremo il fondamento della vita presente (Yesod, altro cardine della mistica ebraica) coniugarsi alla misericordia, vero ed unico possibile aspetto di una età umana che voglia uscire dagli squilibri politici e dalle infatuazioni militari ed economiche. Tale certezza, che è speranza di fede, è una resistenza che fa l’amore più forte della morte (Ct 8, 6-7), ma ci fa anche comprendere che quanto più tenace della guerra o della frontiera dell’odio sarà stata la preghiera per il nemico, tanto più vera e sicura emergerà la redenzione.

Quel proverbio ebraico, infatti, che dice «meglio la pazienza alla forza di un eroe» (Pr, 16. 32), diverrà uno specchio in cui guardarsi per lottare contro sé stessi, monitorando la propria storia e non soltanto aggredendo il reciproco nemico alla frontiera; gli uni e gli altri afflitti, scrutando ipnoticamente i movimenti avversari.

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