la riflessione
L’Aventino? Idea infelice, per le nomine prevalga la logica dell’accordo
L’ottava votazione per l’elezione del giudice costituzionale è stata una fumata nera, tra le schede bianche della maggioranza e la minoranza sull’Aventino
A futura memoria. L’ottava votazione per l’elezione del giudice costituzionale è stata una fumata nera, tra le schede bianche della maggioranza e la minoranza sull’Aventino. Sussurri e grida, non come nella trama del film di Ingmar Bergman, bensì di sconforto e di esaltazione.
Prossimamente, scadranno altri tre giudici e in tutto saranno quattro da eleggere. La maggioranza ha 360 voti, per eleggerli, ne occorrono 363, vale la pena aspettare il soccorso rosso, il cui arrivo viene bloccato con l’Aventino? Nient’affatto. Motivo per cui, bisogna seguire la Costituzione che affonda le sue profonde radici nella logica del compromesso. Vale a dire che la maggioranza e la minoranza si mettessero la coscienza apposto e trovassero l’accordo, per uscire dal cul de sac, ed eleggessero i quattro giudici, in tutto, sono cinque quelli eletti dal Parlamento, altri cinque dal Presidente della repubblica e gli ultimi cinque dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative. Con buona pace della maggioranza e della minoranza a ciascuno il suo giudice.
L’Aventino non sta nella cultura istituzionale del Parlamento e sulle elezioni tramite proxy dei presidenti dei due rami delle Camere e degli ordinamenti istituzionali, la maggioranza dovrebbe ricercare un accordo con la minoranza. La politica muscolare e il braccio di ferro, quando sono in ballo le istituzioni, sono esiziali. Ragion per cui, bisogna appellarsi alla Costituzione e non alle istanze di partito o dalla bulimia della maggioranza. Il che vale per il passato e per il presente.
Nella Prima repubblica, l’Aula parlamentare era sacra, in cui si svolgeva il confronto tra le parti anche alcune volte aspro, ma i presidenti delle Camere erano bipartisan: la terza carica dello Stato all’opposizione e la seconda alla maggioranza. Nella cosiddetta Seconda repubblica, le maggioranze di destra e di sinistra hanno giocato all’asso pigliatutto, mortificando il funzionamento della vita democratica. Di questi tempi, l’Aventino è diventato molto citato e molto usato da parte dell’opposizione cui Elly Schlein l’ha imposto. Come se si fosse acquisito il diritto di cittadinanza, buono per ogni evenienza, in cui rifugiarsi per dare scacco matto al re, pardon, alla «Regina». Aventino si chiamò così, richiamando la storia romana e la secessione dei parlamentari contrari al fascismo, dopo il rapimento e l’assassinio di Giacomo Matteotti, da parte degli sgherri al servizio di Benito Mussolini. Assassinio avvenuto, per l’intervento di Matteotti, alla Camera, di denunzia di brogli elettorali o per aver scoperto delle tangenti consegnate a Mussolini o chi per lui, il fratello Arnaldo, dalla Sinclair OIL. Oppure, per entrambi i casi. Il 27 giugno 1924, i parlamentari contrari a Mussolini si riunirono, in assemblea in una sala di Montecitorio, e decisero di abbandonare la Camera dei deputati, fino a quando non fosse sciolta la milizia fascista, braccio armato del Duce, e fosse ripristinata l’autorità della legge. Fu una scelta sciagurata, quella dell’Aventino, che, invece di fermare il fascismo, lo rafforzò a tal punto che si instaurò il regime mussoliniano.
Ricostruita, in breve, la storia politica del 1924 ‘25, Elly Schlein l’ha rilanciato, ultimamente, invitando lo schieramento dell’opposizione ad abbandonare l’Aula nella logica aventiniana. Non solo, per la votazione del giudice costituzionale non si è presentata in Aula e, successivamente, ha avuto lo stesso comportamento, per l’elezione del Cda della Rai e poi il M5s, per essere da meno, sull’elezione del presidente della Rai. Per non parlare, delle assenze di Schlein e Conte , alle celebrazioni del 7 ottobre, inqualificabili, a dir poco. Questi è una sorta di rullo compressore, in questi mesi, da dove è passato, ha schiacciato tutto, quella, invece, si mimetizza in una sorta di struzzo che mette, quando gli pare e piace, la testa nella sabbia, così non vede, non sente e non parla. In particolare nei casi in cui non si vuole esporre.
L’uno e l’altra commettono un grave errore di grammatica istituzionale e politica. Con il loro modo di fare ,che non è altro la fuga dell’opposizione dalle sue prerogative parlamentari, peraltro, legittimate dal voto popolare, i leader Pd e M5s svuotano il Parlamento della sua centralità, creando un vulnus non di poco conto. Nello stesso tempo, lasciano che si indebolisca la vita democratica, dando la stura alle scorribande populiste. E Conte lo sa bene, quando i 5s affermavano che avrebbero voluto aprire il Parlamento come una scatola di tonno. L’opposizione «dura e pura» non si sottrae dal confronto serio, nell’Aula parlamentare, così come la maggioranza, altrettanto seria, non si chiude a riccio, nella sua autosufficienza. C’è il rischio che l’aventinismo diventi un fatto politico non credibile: da una parte, la minoranza fa la faccia feroce, per dimostrare al proprio elettorato di sapersi opporsi alle angherie della maggioranza, dall’altra, è pronta ad aprire un negozio con il governo, per avere quello che avrebbe ipotizzato di acquisire. Insomma, anche la storia, per nulla felice dell’Aventino, sta finendo in una commedia pirandelliana.