la riflessione

Vietare il cellulare ai nostri ragazzi? Forse è un po’ tardi

Lino Patruno

Di leggi terribili in Italia ce ne sono. A questo quadro di inflessibile rigore dello Stato assolutista e autoritario potrebbe aggiungersi il divieto di cellulare per i ragazzi con meno di 14 anni

Di leggi terribili in Italia ce ne sono. Metti quella che vieta di calpestare le aiuole. O quella che vieta di buttare le cicche di sigaretta per terra. O quella che vieta l’affissione su alcuni muri cittadini. O quella che vieta gli schiamazzi notturni. Su una vecchia scala periferica a Bari c’è il divieto di portare pacchi pesanti e ingombranti. Sempre a Bari ci dovrebbe essere il divieto di far cadere il pomodoro della focaccia dove capita in strada. Ora a questo quadro di inflessibile rigore dello Stato assolutista e autoritario potrebbe aggiungersi il divieto di cellulare per i ragazzi con meno di 14 anni. Non si sa quanti dei calpestatori di aiuole, o dei lanciatori di cicche, o degli imbrattatori di muri, o dei portatori di pacchi voluminosi, o dei patiti della focaccia siano nelle patrie galere. Ora potrebbero finirci tanti nostri figli o nipoti della generazione Alpha o Zeta.

Andiamo in un ristorante. I due terzi dei commensali sono con gli occhi sul cellulare fra un antipasto misto e uno spaghetto alle vongole più sorbetto al limone. Ma se con loro ci sono ci sono degli Alpha o degli Zeta, per legge dovrebbero starne lontani, anzi con la mascherina come durante il Covid. Si calcola che le probabilità che ciò avvenga siano meno dello zero assoluto. E quand’anche qualcuno di loro fosse riuscito (per complicità o distrazione o resa dei genitori) a maneggiare uno di quei proibitissimi affari, la polizia morale (come in Iran) dovrebbe immediatamente intervenire in loco o essere in agguato all’uscita. Flagranza di reato e manette. Inutile dire (con giurassico richiamo zoologico) che si vogliono chiudere le stalle quando i buoi sono già scappati. Non c’è momento della nostra vita in cui noi della generazione Anta non inforchiamo quell’oggetto poco oscuro del nostro desiderio. Anzi i più rigorosi lo fanno h24/7. Una protesi grazie alla quale abbiamo anche sviluppato un sensore che ci evita collisioni quando testa sulla tastiera vagoliamo sui marciapiedi e non solo. E una volta a settimana la memoria inflessibile di quel coso ci resoconta quanto tempo al giorno lo abbiamo usato in un classifica del disonore per chi perde colpi. E pur predicando che la prima forma di etica è l’esempio, vorremmo che i nostri successori non ci imitassero nella più astronomica causa persa degli ultimi secoli. Fuor di ogni legittimo dubbio che abbiano ragione i due psicoterapeuti dell’età evolutiva i quali hanno lanciato l’allarme sui rischi dell’uso di smartphone da parte dei minori di 14 anni. E fuor di ogni legittimo dubbio che sia assolutamente condivisibile il loro appello perché non sia possibile ai minori di 16 anni aprire un loro profilo sui social. Con una denuncia su ciò che questo uso sta provocando sulla loro salute mentale: dall’ansia al calo dell’attenzione, dall’insonnia alla riduzione dell’autostima, dai disturbi dell’apprendimento alla emotività. Una dipendenza. Chiediamogli cosa vorrebbero come prossimo regalo. Passiamo con loro davanti a un negozio che li vende e vediamo se non vogliono entrarci. Facciamo caso a quante volte ci chiedono a che età potranno averlo anche loro. Calcoliamo quante volte ce lo tolgono dalle mani. E quante volte glielo mettiamo noi per toglierceli davanti. Insomma il problema non sono loro, siamo noi adulti. E’ vero che quando anche noi eravamo bambini ci parcheggiavano davanti alla tv così stavamo buoni. Ma nella tv non c’è quel mondo virtuale parallelo nel quale si può incontrare il lupo come Cappuccetto Rosso nel bosco.

A fronte di questa sacrosanta ma tardiva crociata proibizionistica, sappiamo in partenza che ogni proibizionismo porta al risultato opposto. Allora ecco le anime belle dell’alternativa soft: cerchiamo di risolvere col convincimento, parliamo loro, puntiamo più sulla prevenzione che sulla abolizione. Magari chi ci prova ci faccia sapere. Magari potrebbe essere un argomento figo rivelare che i vari Steve Jobs (il principale avvelenatore), Bill Gates, Mark Zuckerberg hanno sempre tenuto lontani i loro piccoli dalle loro stesse invenzioni. E magari la disintossicazione procede in maniera incoraggiante fino alla conclusione triste, solitaria y final: se tolgo il telefonino ai miei figli, nella loro classe sarebbero gli unici a non averlo. Sindrome da esclusione e isolamento. Passiamo al piano B. Il regolamento europeo sulla protezione dei dati già nega l’accesso ai cellulari ai minori di 16 anni, che ciascuno Stato può ridurre ma non sotto i 13 anni. In Italia c’è un limite ai 14, che potrebbe essere innalzato ai 16. A mancare è un colpo di genio che impedisca che la legge faccia la fine del divieto di calpestare le aiuole. Mentre da quest’anno ne è proibito l’uso a scuola. Proprio dove invece un uso accorto sarebbe stato più utile per saper maneggiare tecnologie lasciate invece all’apprendimento personale, come se non fossero il nuovo alfabeto da imparare. In un mondo in cui non si fa più la storia, si scrivono stories. In cui non si parla più, si messaggia. (Ultime notizie: Perugia, si suicida a 13 anni. «Le avevano tolto il telefonino»).

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