il commento
Una modesta proposta: e se facessimo le Olimpiadi dei diritti?
Nell'antica Grecia, si diceva che durante i Giochi dovessero cessare le inimicizie pubbliche e private, le ripicche e qualsiasi ostacolo allo svolgersi dell'attività degli atleti
C’era una volta la tregua olimpica. Nell'antica Grecia, si diceva che durante i Giochi dovessero cessare le inimicizie pubbliche e private, le incursioni nemiche, le ripicche e qualsiasi ostacolo allo svolgersi dell'attività degli atleti. Come ai nostri tempi, nessuna guerra purtroppo si è mai fermata nell'Ellade, anzi, si battagliava come sempre tra popoli e persino per il dominio sui Giochi, che già da allora erano forieri di antico e danaroso marketing.
Siccome i tempi non cambiano mai, guardiamoci attorno: Olimpiadi 2024, altro che pace sui fronti incandescenti del mondo, ma soprattutto altro che pace negli animi dell'umanità! Sin dall'esordio, sin da quella cerimonia di apertura a Parigi bagnata dalla pioggia e dalle polemiche, si è capito che poco sarebbe andato liscio se non lo sport puro, quello che a volte viene coperto dalla polvere delle rimostranze e della rabbia sociale.
Tutte le paure del mondo si sono affrontate in questi Giochi delle barriere umane, in cui si sono scomodati criteri religiosi, sessuali, razziali, mostrando l’infinita debolezza del pianeta Terra.
Siamo infestati dagli incubi e lo dimostriamo ad ogni occasione: solo un'età insicura come l'adolescenza ha tanti brufoli disseminati sulla propria pelle. E quest’ultima non è una scorza dura, ma teme tutto e tutti: le donne, i cromosomi, gli italiani con la pelle nera, le diversità.
Dal caso della boxeur Imane Khelif fino al murales dedicato alla «black» Paola Egonu vandalizzato ieri a Roma, davanti alla sede del Coni. Questo è stato un avvertimento in pieno stile, se pensiamo che il volto della campionessa italiana di pallavolo è stato coperto di vernice rosa, cioè tinto del colore che annulla le presunte differenze. Si è colpita la pelle, l’involucro, tanto per cambiare.
Non siamo mai pronti. Questa Italia in cui tutto diventa iper-politicizzato (anche in altri Paesi in realtà ci sono stati continui battibecchi, ma forse da noi si esagera!), un regno italico in cui la bellezza cede sotto i colpi del furore.
Critiche alla tarantina Benedetta Pilato perché non vince e confessa che questi giorni olimpici sono stati i momenti più belli della sua vita... perché colpirla? non è questo il vero senso sportivo?
E ancora. Critiche all'acqua della Senna, che in effetti già a vedersi appariva fatale, ma che poi non si è capito più se fosse inquinata o no, visto che i dati forniti pare abbiano detto il contrario, ma nessuno è tornato ancora sull’argomento, perché tanto bastava un post e una battuta all’acido, un meme e chissà quale sia la verità. Sì, perché l'importante è creare bufera: nel vomitatoio globale dei social, nell'odissea delle chiacchiere e delle offese. Chi più mena, più vince (come nella boxe, purché sia a cromosomi perfetti!).
Eppure, abbiamo avuto splendidi atleti, meraviglie da ammirare, autentici sogni planetari realizzati, come il primo oro della Squadra Olimpica Rifugiati, con quel bronzo nella boxe di un'altra pugile, di cui però si è parlato di meno, Cindy Ngamba, nata in Camerun, residente a Londra grazie al diritto d’asilo, visto che è omosessuale e visto che se tornasse in Camerun rischierebbe il carcere. Si è commossa, ha detto pochissime parole frugando tra le lacrime.
Ma questa è solo una delle mille bellissime storie emerse da questi Giochi parigini, dove il cuore dell'Europa doveva battere per lo sport e per quell'antica tregua olimpica che il mondo inutilmente attende da millenni. Dovevano essere le Olimpiadi delle Marianne, in ricordo di quel lontano 1900 a Parigi, quando le donne ebbero il permesso di competere. Dovevano essere le Olimpiadi della parità, dove atlete e atleti sono al 50%. Dovevano essere quel fiume di bandiere unite come nella mappa senza confini dell’artista Alighiero Boetti... e invece abbiamo ritrovato tra i cinque cerchi troppi muri e fili spinati.
Del resto, le Olimpiadi sono una fetta di mondo e rispecchiano il mondo. Anche nelle nostre strade è tutta una rissa: ora contro i trans, ora contro i gay o i timidi, o le ragazzine, o quant'altro. Gridano vendetta le aggressioni omofobe che stanno accadendo in questi giorni a Gallipoli, a San Giovanni Rotondo, a Viterbo. Ma è ancora possibile? E accade da sempre contro chiunque mostri un segnale di diversità. Perché questa impaurisce i finti-forti e perché il Paese degli immaturi non riesce a fare i conti con nulla, preferendo sempre l'unico sport che non richiede impegno, speranza e sacrifici e cioè l'ira. Una modesta proposta: e se facessimo un'Olimpiade dei diritti?