«se appartengo al branco allora sono qualcuno» alle radici del caso vieste

Nunzio Smacchia

Il branco è un involucro che racchiude rapporti di amicizia e di scontro, è la somma di caratteri deboli e di personalità anonime che solo nel «gruppo» si riscattano e prendono vigore

L’episodio del pestaggio avvenuto a Vieste ai danni di un dodicenne da parte di alcuni minorenni porta ancora una volta alla ribalta il fenomeno del branco.

Appartenere ad un gruppo di coetanei è importante nell’adolescenza perché il «gruppo» viene vissuto e sentito come una nicchia protettrice, come una base narcisistica, dove potersi rispecchiare e identificarsi. Il branco è un involucro che racchiude rapporti di amicizia e di scontro, è la somma di caratteri deboli e di personalità anonime che solo nel «gruppo» si riscattano e prendono vigore, dando vita a manifestazioni aggressive e violente, che, altrimenti, mai compirebbero. È nel gruppo che il giovane vive quel percorso di maturazione e di consapevolezza di sé e degli altri che non è ancora terminato, allontanandosi dall’influenza dell’ambiente e della famiglia, che gli sembrano ostili e non lo comprendono. L’adolescente si avvicina al gruppo perché è alla ricerca di una propria identità e di un proprio cammino; in esso si lascia andare liberamente a scoppi di collera, a scontri fisici, a frequenti atti vandalici, a minacce, ad uso di alcool, di sostanze stupefacenti e di un linguaggio volgare.

Solo nel gruppo si sente libero di fare tutto questo, protetto, com’è, dagli «altri», nei quali trova coraggio e forza e nei quali si «disperde», si «spersonalizza» e si «identifica», diventando una parte di se stesso in un processo di «attacco e fuga», come direbbero gli studiosi. La natura e le gesta di questi adolescenti, disarmanti ed abbastanza superficiali nella loro ideazione, si contrappongono all’efferatezza della realizzazione: si pensi ai reati contro la persona, ai danneggiamenti, alle lesioni, ai lanci dei sassi dai cavalcavia e agli omicidi. Per quanto ci siano diversità psicopatologiche tra i diversi componenti del gruppo, non è difficile rilevare aspetti comuni, legati alla violenza adolescenziale. Spesso non sono i singoli componenti del branco che eseguono atti criminosi, ma è il gruppo inteso come collettore delle singole individualità, che da sole non commetterebbero i reati perpetrati dal gruppo. È nella sinergia del gruppo, nella sua compattezza che «questo adolescente» trova la forza di compiere gesti violenti, che lo fanno sentire importante, «qualcuno», e gli consentono di venir fuori dal suo anonimato.

L’unità dell’insieme fortifica le iniziative, giustifica l’aggressività soffocata e sprigiona l’identità dei singoli con azioni di violenza all’esterno, rigettando ogni intrusione e preservando le identificazioni proiettive degli appartenenti in un processo inconscio di unità. Nella monade che si viene così a creare i singoli componenti sono accomunati da storie personali, si riconoscono in dinamiche familiari, caratterizzate da problematiche come separazioni, lutti, abbandoni, abusi e maltrattamenti, che si ritrovano tutte nelle anamnesi cliniche.

In definitiva, gli adolescenti hanno necessità di «rinchiudersi» in un gruppo per sentirsi uniti, forti e sicuri, per completare una sorta di passaggio dalla dipendenza infantile dalla famiglia a quello dell’autonomia dell’adulto. Il branco dà all’adolescente un senso di appartenenza, che sa di essere ben accetto e di essere difeso in ogni circostanza; questo aspetto iperprotettivo del gruppo lo fa sentire potente e irraggiungibile, lo estranea dagli altri, e gli fa credere d’essere migliore di chi è fuori del gruppo; tanto più è a disagio con il mondo esterno tanto più forte è l’attaccamento e la lealtà verso il gruppo; quanto è più fragile è la personalità dell’adolescente, tanto maggiore è il bisogno del gruppo. Che fare in questi casi, come prevenire la formazione di gruppi, di branchi, come evitare che le loro azioni sfocino in irreparabili condotte criminose? Normalmente i componenti sono figli del disagio familiare e della psicopatologia che si crea all’interno di essa. La disgregazione familiare, le carenze scolastiche ed affettive e la povertà in generale sono il substrato di ogni formazione gruppale e la possibilità di prevenirla è quanto mai difficile e complessa.

Probabilmente è necessaria una politica di prevenzione ad ampio respiro socio-economico ed un’azione diretta sia della famiglia che della scuola, affinché intervengano subito con efficacia là dove sorgono i primi sintomi di violenza e devianza. È importante che i genitori, come pure ogni altra figura educativa, rivolgano un’attenzione particolare all’autostima dei figli in adolescenza, vigilino nella fase di passaggio dall’infanzia all’adolescenza. È nella famiglia, nel gruppo dei suoi pari, a scuola che il minore conferma la sua crescita e la sua realizzazione emotiva e affettiva. L’adolescenza è il momento di sviluppo in cui si mandano più segnali: sta ai genitori captarli e interpretarli, evitando che i figli si sentano umiliati o incompresi.

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