l'analisi

Colpo alla «cerignolana», tecniche paramilitari e rapidità nell’esecuzione

Filippo Santigliano

L’assalto in grande stile con tecniche paramilitari conduce ad una sola scuola, quella dei cerignolani, professionisti del settore tanto da essere coinvolti su commissione anche dalle principali organizzazioni criminali nazionali,

L’assalto in grande stile con tecniche paramilitari conduce ad una sola scuola, quella dei cerignolani, professionisti del settore tanto da essere coinvolti su commissione anche dalle principali organizzazioni criminali nazionali, da Cosa Nostra alla n’drangheta e alla camorra quando si tratta di non sbagliare nello svuotare un caveau o un portavalori. Nella scuola pugliese, va aggiunto, oltre ai cerignolani vantano importanti referenze i gruppi d’assalto residenti tra Bitonto ed Andria e quelli della Sacra Corona Unita tra Brindisi e Lecce. E non è escluso che proprio a Torchiarolo ci sia stato un «mix» di esperienze sul campo, anche se la tecnica utilizzata è quella appunto made in Cerignola: auto e camion di traverso ed incendiate, asfalto sparso di chiodi, velocità nell’esecuzione, ostacoli ovunque per rallentare l’intervento delle forze dell’ordine, varchi per le vie di fuga in caso di successo o insuccesso dell’operazione.

Del resto sono oltre un centinaio i cerignolani arrestati negli ultimi anni su ordinanze cautelari, spesso seguite da condanne anche sino a 20 anni, piovute da tutt’Italia. «Il modus operandi presuppone l’esistenza di strutture collaudate, organizzate, assetti logistici assimilabili a un vero e proprio modello aziendale di stampo criminoso», scriveva il gip di Foggia nel disporre il 4 novembre 2022 l’arresto di 17 persone, di cui 15 di Cerignola, per una serie di rapine in Puglia ed in Campania.

Insomma, sono «professionisti»... ricercati in tutti i sensi, dalla Legge e dai malavitosi. Spesso sono proprio i cerignolani le menti, gli organizzatori di assalti a blindati e caveau progettati in tutt’Italia; talvolta vengono ingaggiati. Come svelato dall’indagine «Keleos» della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro all’epoca guidata dall’attuale procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, sul furto da 8 milioni del 4 dicembre 2016 nel centro calabrese nel caveau della «Sicurtransport», sfondando il muro dell’istituto per prendere i soldi e fuggire, tutto in 12 minuti: l’indagine sfociò il 20 aprile 2018 in 11 arresti sull’asse Calabria-Cerignola (tre i cerignolani arrestati, due condannati e un assolto in primo grado); i calabresi con l’ok di alcune cosche destinatarie di parte del bottino perché bisognava riconoscere una sorta di tassa alla ‘ndrangheta, si erano rivolti a cerignolani per organizzare, pianificare e attuare la rapina.

Sono «mestieri» che si tramandano anche in famiglia. Un padre senza sapere della microspia che ne registrava i colloqui ammoniva il figlio erede: «Io vi devo lasciare da soli. Voi quando dovete imparare? Voi dovete fare il lavoro, io vi copro le spalle: cos’ho 20 anni? Voi avete 20 anni, vi do i compiti, vi copro le spalle, sto insieme a voi, il lavoro lo facciamo insieme. Io adesso ti sto facendo gestire la situazione a te, perché è giusto che tu debba sapere come funziona, perché domani sei tu che gestisci, capito? Devi imparare com’è, coordinerai, devi imparare a fare questi fatti: se lo impari gestisci sempre la situazione. Devi avere il cervello di capire, perché tutto questo movimento non tutti lo capiscono: è una vita che stiamo in mezzo alla strada».

L’ultimo blitz contro le bande di Cerignola risale allo scorso 30 gennaio e fu coordinato dalla Dda di L’Aquila: 6 arresti per la rapina da 4 milioni e 800mila euro del 24 marzo 2022 nella «sala conta» dell’istituto di vigilanza Ivri di San Giovanni Teatino vicino Chieti; 39 indagati complessivi (tra Abruzzo e Puglia), di cui 28 cerignolani, accusati a vario titolo di associazione per delinquere; l’assalto a Chieti; una tentata rapina analoga vicino Avellino sventata dalla Polizia dopo un conflitto a fuoco in cui morì un trentunenne cerignolano, Giovanni Rinaldi; tentato omicidio; armi; ricettazione; incendio. Contestata in quell’occasione ad alcuni indagati l’aggravante di aver agito con metodo mafioso. «La cui sussistenza» spiegarono pm e gip dell’Aquila «non presuppone necessariamente un’associazione mafiosa, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano una veste tipicamente mafiosa. È essenziale infatti che la condotta costituisca espressione di una professionalità criminale anche solo evocativa di quelle proprie dei gruppi organizzati mafiosi, come accaduto nel caso dell’assalto a San Giovanni Teatino dove sono emerse caratteristiche paramilitari, modalità assolutamente brutali di realizzazione, attenta pianificazione, spiccata professionalità degli autori e dispiegamento imponente di uomini, armi e mezzi».

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