Il personaggio

Addio Peppino Iannone colonna della storia sindacale pugliese e meridionale

Gigia Bucci

Con loro non perdiamo solo due grandi compagni, ma due testimoni della storia, quella con la «S» maiuscola, che passa dalla Resistenza al Fascismo e dalla Liberazione d’Italia fino alle stagioni delle battaglie politiche e sindacali degli anni Settanta

In pochi giorni sono venute a mancare due colonne della storia sindacale e politica pugliese e del Mezzogiorno, Mimì Ranieri e Peppino Iannone.

Con loro non perdiamo solo due grandi compagni, ma due testimoni della storia, quella con la «S» maiuscola, che passa dalla Resistenza al Fascismo e dalla Liberazione d’Italia fino alle stagioni delle battaglie politiche e sindacali degli anni Settanta, attraverso le conquiste sui diritti civili e sui diritti dei lavoratori, che vedono come pietra miliare lo Statuto dei Lavoratori.

Peppino, in particolare, come quelli della sua generazione, è stato sì figlio del suo tempo ma anche interprete moderno dei profondi cambiamenti che hanno attraversato il Paese ed il Mezzogiorno in quasi un secolo. Classe 1929, nativo di San Nicandro Garganico, fu bracciante agricolo fin da piccolo per dare sostegno alla famiglia. Una storia simile a quella di tante e tanti ragazzi come lui nella Capitanata che attraversa le difficoltà del periodo fascista e fa i conti poi con le distruzioni della guerra e la miseria in cui viene trascinato il Paese per decisione del regime. Dopo la Liberazione è protagonista delle lotte per l’occupazione delle terre incolte e per l’assegnazione ai braccianti nella zona garganica.

Da quel momento inizia il suo impegno sindacale che non lascerà più per tutta la vita e che lo porterà prima a capo della Federbraccianti provinciale e regionale, fino al vertice della Cgil Puglia. Nel 1983 è candidato ed eletto al Senato nelle fila del Partito Comunista. Riconfermato nel 1987. Si impegna in Parlamento per lo sviluppo del Mezzogiorno, per l’innovazione del suo sistema agricolo. Da bracciante autodidatta si ritrova a lavorare in Commissione Lavoro, ascoltato e rispettato proprio per la sua esperienza e capacità di analisi della condizione del lavoro bracciantile, fianco a fianco con altre grandi personalità della nostra storia come Luciano Lama e Gino Giugni.

La sua biografia si sovrappone a quella di tante donne e tanti uomini che in questi territori si sono battuti per l’emancipazione e la dignità del lavoro, sempre dalla parte dei più umili, ma con la capacità di guardare oltre spesso anticipando il cambiamento, qualità tipica dei grandi dirigenti.

Umile e generoso, ha dedicato la sia intera esistenza per affermare e difendere gli ideali universali di giustizia sociale e uguaglianza, di integrità morale e coerenza valoriale, con coerenza ed umanità. Anche per questo era amatissimo dai lavoratori e dalle lavoratrici, anche negli ultimi anni benché limitasse le uscite pubbliche per le sue condizioni di salute, non ha mai smesso di offrirci le sue analisi sempre lucide e oneste.

Peppino che fino all’ultimo ci ha parlato del Mezzogiorno, della necessità che fosse il cuore dell’agenda politica del Paese, di quelle battaglie partite proprio dalla Puglia, dalla provincia di Foggia, contro le gabbie salariali nel biennio 47-48. E poi l’interesse per i giovani, che - affermava - non devono più essere costretti a emigrare, perché rappresentano la vera ricchezza sociale di questi territori.

La sua è una di quelle storie che non riguarda solo la Cgil ma appartiene a tutti, e come ogni patrimonio collettivo abbiamo il dovere di ricordarla e tramandarla. Perché senza memoria non c’è futuro.

Noi vogliamo onorarlo questo impegno e questi insegnamenti, il lascito di conquiste e di lotte. Perché se guardiamo all’Italia di oggi, caro Peppino, la tua visione resta ancora validissima. Dobbiamo essere in campo perché il lavoro sotto attacco, perché i salari permettano a chi lavora di vivere dignitosamente, perché i giovani abbiano opportunità di buona occupazione nel Mezzogiorno e in Puglia, perché progetti che acuiscono i divari Nord Sud come l’autonomia differenziata non passino.

Se la Cgil nel tempo è diventato un sindacato, certo, che fa vertenze, scioperi, manifestazioni, ma sindacato di programma, a sostegno di proposte e visioni di società e del mondo del lavoro, si deve a dirigenti come Peppino Iannone, pragmatismo e programma devono viaggiare assieme. Per ragioni anagrafiche stiamo perdendo una generazione straordinaria, testimoni viventi delle resistenza partigiana e antifascista e delle più importanti conquiste democratiche. Per onorarli, l’unico modo è portare avanti i valori ai quali hanno dedicato tutta una vita, e far sì che il loro esempio sia davvero bussola per ogni dirigente non solo della nostra organizzazione ma di chiunque - a qualunque livello - faccia politica. Esponenti di quella politica con la «P» maiuscola, che ha sempre servito le organizzazioni e il Paese e non se ne è mai servito, perché il fine ultimo era collettivo, il benessere dei lavoratori, le conquiste e gli avanzamenti sociali di tutti.

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