La riflessione

La rivoluzione digitale e la crisi del processo penale

Sergio Lorusso

Il futuro è adesso. L’evoluzione tecnologica degli ultimi decenni ha infatti originato una rivoluzione digitale che ha investito tutti gli ambiti della nostra vita, compreso quello della giustizia penale, specie dopo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale

Martedì 14 maggio, alle 16, si terrà nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Foggia il secondo incontro del ciclo «Movenze e tendenze della giustizia penale» organizzato dal prof. Sergio Lorusso, dal titolo «Rivoluzione digitale e crisi del processo penale». Parteciperanno le prof.sse Benedetta Galgani, Università di Pisa, e Serena Quattrocolo, Università di Torino.

L’intelligenza artificiale è qui. Il futuro è adesso. L’evoluzione tecnologica degli ultimi decenni ha infatti originato una rivoluzione digitale che ha investito tutti gli ambiti della nostra vita, compreso quello della giustizia penale, specie dopo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Non è più il solo terreno delle investigazioni e della prova, strumenti necessari per avviare l’azione penale e per giudicare, ad essere coinvolto (si parla ormai da qualche anno di investigazioni digitali e di prova digitale), ma anche l’essenza stessa della giurisdizione, la decisione.

Questo mutamento radicale si innesta in un quadro caratterizzato ormai da tempo dallo stato di cronica crisi in cui versa il processo penale, che non riesce a raggiungere i suoi obiettivi rispettando principi fondamentali come quello della durata ragionevole: mentre il mondo, volenti o nolenti, si caratterizza per una sempre maggiore velocità dell’agire umano, complici proprio gli strumenti informatici, la macchina della giustizia continua ad operare con tempi propri assolutamente desintonizzati con il fluire dell’esperienza umana in questo primo scorcio del terzo millennio. Ecco, allora, che l’atteggiamento di fronte alle innovazioni introdotte nel tessuto sociale dalla rivoluzione digitale e dall’intelligenza artificiale non può essere di chiusura, anche se è comprensibile che la nuova era che si annuncia possa generare paure e ritrosie, alimentare tabù e pregiudizi. Allo stesso modo occorre rifuggire da facili e smisurati entusiasmi, quasi ci trovassimo di fronte a un Eden ritrovato.

Henry Kissinger, personaggio politicamente controverso ma indiscutibilmente acuto osservatore della realtà, ha affermato che rispetto all’intelligenza artificiale l’umanità ha tre opzioni: confinarla, collaborarci o subirla. Non si può, insomma, ignorarla. Così come nel XV secolo non sarebbe stato possibile ignorare l’invenzione e la diffusione della stampa e difendere a oltranza gli amanuensi. Si tratta, piuttosto, di capire se e in che modo la rivoluzione digitale può servire a migliorare l’efficienza del processo, senza trascurare altri valori fondamentali presenti in Costituzione. Ma non solo. La possibilità che le macchine intervengano nell’iter decisorio pone molti interrogativi che non possono essere oscurati dal timore di finire preda di un giudice robot. Essenziale è regolamentare la materia e i primi passi si stanno già muovendo in Europa, con l’AI Act approvato dall’UE lo scorso marzo, come in Italia, con un ddl di aprile. Sarebbe auspicabile, tuttavia, un coordinamento tra le varie iniziative, che anzi dovrebbe essere globale in ragione della natura stessa dell’ambito da normare, che sfugge di per sé a rigidi confini.

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