L'analisi

I nodi critici del Def e la riduzione del tasso di crescita

Guglielmo Forges Davanzati

Il Governo rivede al ribasso le stime di crescita, nel documento di Economia e Finanza (Def) presentato lo scorso 9 aprile

Il Governo rivede al ribasso le stime di crescita, nel documento di Economia e Finanza (Def) presentato lo scorso 9 aprile. Nel 2024, il disavanzo arriverebbe al 4.3% del Pil, per ridursi al 3% e successivamente al 2.2% nel 2027. Si prevede un aumento del rapporto debito pubblico/Pil del 2.5% per il 2026. Per l’Esecutivo, questa dinamica è da imputare alle spese sostenute per gli incentivi edilizi introdotti dal Governo Conte II.

Il Def predisposto dal Ministro Giorgetti non offre il consueto quadro programmatico di finanza pubblica, ma il solo quadro tendenziale, a legislazione vigente. È stato fatto osservare (per esempio, da Giuseppe Pisauro su LaVoce.Info) che si tratta di una prassi inedita, dal momento che qualunque Governo deve dar conto della programmazione dei suoi interventi e dei loro effetti. Questa decisione sembra essere influenzata da tre considerazioni: innanzitutto, le imminenti elezioni europee; in secondo luogo, il termine del percorso di revisione del Patto di Stabilità e Crescita (rivisto, dopo la sospensione del 2020, nel dicembre scorso, con approvazione da parte del Governo italiano) e, infine, l’elevata incertezza connessa ai conflitti in corso. Si anticipa, in tal senso, il superamento dell’appuntamento del Def di aprile previsto dalle nuove regole europee, in vista della predisposizione con un orizzonte quadriennale di un piano strutturale tale da soddisfare il «sentiero tecnico di aggiustamento fiscale» previsto dalla Commissione europea.

I principali interventi programmati sono la riforma del sistema tributario (la riduzione del numero di aliquote Irpef da quattro a tre) e il rinnovo dell’esonero contributivo parziale per il lavoro dipendente. Merita di essere ricordato che si tratta di importi irrisori, tuttavia, a suo tempo, propagandati come di massima rilevanza. Gli incrementi di reddito in busta paga sono, peraltro, decrescenti al ridursi del salario.

Questa impostazione del documento di programmazione economica appare discutibile in considerazione di alcune potenziali incongruenze. La prima: le agevolazioni per l’edilizia hanno contribuito a tenere elevato il tasso di crescita, nella fase molto delicata della crisi sanitaria. In più, una nota recente (aprile 2024) dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio stima che la crescita economica italiana nell’ultimo anno resta modesta e comunque di poco superiore alla media dell’area euro (0.9% rispetto allo 0.3%) ed è di gran lunga sostenuta da servizi e appunto dall’edilizia. La seconda: la riduzione del cuneo fiscale non ha prodotto i risultati attesi e sperati. Non solo, infatti, l’economia italiana non è cresciuta significativamente nell’anno in corso, ma si prevede un ulteriore rallentamento. Tutti gli Istituti di ricerca - in primo luogo, il Fondo Monetario Internazionale - concordano, infatti, nel prevedere contrazione della crescita economica in Italia dal 2023 al 2024.

Lo scenario geopolitico e la direzione della politica monetaria appaiono determinanti per valutare in prospettiva queste scelte. Si registra la tendenza in atto alla riduzione del tasso di inflazione (inferiore rispetto alla media europea), con un aumento dell’occupazione che non si traduce in aumento dei salari (gli incrementi retributivi in Italia sono i più rispetto all’area euro), come certificato nella nota sulla congiuntura dell’Upb di febbraio 2024. Si è in attesa, poi, della riduzione dei tassi di interesse da parte della Bce e dei conseguenti effetti su debito pubblico, mutui e investimenti privati. Si può ricordare, inoltre, che il Governo ha firmato la revisione del Patto di stabilità, con la previsione, per i Paesi con debito pubblico elevato (l’Italia ovviamente fra questi), di riduzioni della spesa pubblica in vista del rispetto dei nuovi parametri. È lo stesso Governo a riconoscere che i saldi di finanza pubblica peggiorano. Questo dato è in larga misura conseguente all’aumento del costo del debito, che dipende dall’aumento dei tassi di interesse da parte della Bce (aumenti che sono stati realizzati a partire dal luglio 2022) e dalla riduzione del gettito per le imposte indirette. Non si registrano, poi, miglioramenti per quanto attiene ai tempi di realizzazione del Pnrr e la crisi del Mar Rosso si associa a un incremento del prezzo del greggio, in uno scenario internazionale caratterizzato da problemi di approvvigionamento di energia. A ciò occorre aggiungere la recessione tedesca, soprattutto in considerazione del fatto che la Germania costituisce il principale mercato di sbocco della produzione italiana.

Al netto delle modifiche del quadro internazionale, va comunque registrato il dato per il quale negli anni del Governo Meloni si è significativamente ridotto il tasso di crescita, che, per contro, nel biennio precedente ha fatto registrare un valore cumulato superiore a quello dei nostri principali partner europei (+3% a fronte dell’1.4% della Francia, dell’1.2% della Germania e dell’1% della Spagna).

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