L'opinione
Oggi è 24 aprile: per il 25 non siamo ancora maturi
Una festa nazionale della Repubblica Italiana è ancora motivo di divisioni e polemiche, nonostante i 79 anni di libertà trascorsi da quel 1945
Oggi è 24 aprile, perché al 25 non siamo ancora pronti. Una festa nazionale della Repubblica Italiana è ancora motivo di divisioni e polemiche, nonostante i 79 anni di libertà trascorsi da quel 1945. È bene ricordarlo, anche se sembra pleonastico: in quel 25 aprile il nostro Paese fu liberato dall'occupazione nazista, in quella data si videro i frutti di lotte e di sofferenze che non possiamo dimenticare. Un'Italia in cenere, povera e affamata, sventrata nelle perdite delle due guerre, si affacciava verso un nuovo destino.
I vari casi sollevati in queste settimane e - del resto - ogni anno ad aprile, dimostrano che molte parti di questa Storia non sono chiare a tutti. Restiamo al 24 aprile perché siamo immaturi rispetto ai tanti sacrifici di cui beneficiamo adesso: siamo un po' come quegli adolescenti renitenti, increduli, testardi. Non vogliamo ricordare quei soldati italiani ammazzati giovanissimi, quegli americani che arrivarono a nuoto sulle coste della Normandia, vogliamo calpestare le lotte partigiane, quel sussulto di un'Italia che rialzava la testa dopo gli orrori del nazismo.
E invece no, preferiamo arrovellarci su una festa di tutta l'Italia che diventa la festa di una parte d'Italia. Le brutte figure governative e Rai delle ore appena trascorse non fanno bene al rispetto della nostra Storia umana e politica, perché chi governa giura sulla Costituzione, una Carta che – forse non tutti i ministri ne sono al corrente – nega il fascismo. Sembra incredibile che debba essere un mattatore come Fiorello a ironizzare sulla logopedista che dovrebbe aiutare Meloni e company a imparare a pronunciare la parola «antifascismo», siamo ancora a questo punto. Perennemente alla vigilia, non riusciamo a crescere e dire che è 25 aprile.
Restiamo al palo, a quel 24 aprile. E ce ne vantiamo! Preferiamo dividerci sulla censura al monologo dello scrittore Antonio Scurati, un testo che oggi sarà letto nelle università e nelle piazze e che sarebbe passato nella disattenzione sociale che viviamo, se solo non si fosse deciso di cassarlo dalla Tv. Ora, il processo a chi ha censurato quelle parole sono un'ulteriore prova di indecisione e insicurezza, una manovra nella manovra degli errori che sta diventando ogni giorno sempre più imbarazzante. Se Giorgia Meloni ha cercato di porre rimedio al precipitare dei commenti e delle critiche parlando di un compenso esoso da 1.800 euro al minuto, ha probabilmente dimenticato le cifre che la stessa Rai paga per altri monologhi. Vogliamo fare i conti con i denari patteggiati per la star Ferragni a Sanremo in cambio di quell’auto-monologo in cui celebrava se stessa? E' vero, sono cifre lontanissime da quelle che percepiscono i giornalisti precari e non, lontani da quei mondi, ma sono quelle che fanno parte di quell'universo, fatto di autisti e gettoni a molti zeri.
Lo zero è invece il livello a cui siamo arrivati. Ogni giorno, un passo avanti e due indietro. Oggi, 24 aprile e non 25, ci saranno le forze di sicurezza attrezzate, perché il Paese immaturo può prendersi a botte su una Liberazione che la Storia afferma. Come ogni anno, si litigherà anche sul numero delle persone in piazza. Accuse di retorica? La Storia non è mai retorica. E vedremo ancora censure, polemiche, attacchi. Persino tra le meraviglie delle rocce di Pantelleria, c'è stato un sindaco che pare abbia censurato ieri la canzone Bella Ciao. Le democrazie festeggiano, le democrazie non hanno paura. O non cercano, forse, con le polemiche sterili di nascondere altre minacce, altri insuccessi politici ed economici, in un'Italia che non cresce nella sua maturità ma nemmeno nel suo futuro. Ora che le guerre impazzano e che la gente continua a soffrire, negli oltre cinquanta conflitti che proseguono incessanti nel mondo, tra armi, droni, violenze e sopraffazioni. Altri Paesi immaturi in cui nuovi partigiani combattono e nessuno si occupa di loro, perché all’Occidente risulta più comodo fare affari con i governi e vendere armi.
Il patrimonio dell'umanità si schiaccia sotto i colpi dei nuovi nazismi e simil-nazismi che pullulano nell'universo. Persino noi, che l'abbiamo vinto non riusciamo a liberarcene. E restiamo al 24 aprile, anzi, potremmo essere al 20, il giorno in cui la Puglia perse la voce del pacifista Tonino Bello, quello che parlava contro la corsa agli armamenti ed era apostrofato come utopico, comunista, sognatore. Ma un Paese che smette di ricordare e di immaginare è un Paese finito, in cui per fortuna arriva il vento del 25 aprile. Che spiri su tutti.